I governanti di Bruxelles insultati da Putin, messi alla porta da Trump.
La nuova Europa nasce dalle ceneri di Bruxelles e riparte da Regno Unito, Francia e forse Germania

Potrebbe essere l’effetto epocale di un evento epocale. É la nuova Europa che sembra nascere in risposta alla rottura trumpiana della solidarietà atlantica. Un’Europa che per ora non ha una sede, né una carta di fondazione, né una governance. Ma che non è l’Europa dei Ventisette. Anzi emerge sulle incertezze, sui ritardi, per non dire sulle ceneri dell’Europa di Bruxelles.
L’aggressore leader sotto le bombe
L’agguato dello Studio Ovale è stato soltanto l’ultima goccia. Fin dal suo insediamento, Trump ha mandato in frantumi le forme e la sostanza della storia occidentale. Ha messo l’Europa di fronte alla drastica perdita di senso delle parole stesse. Ieri il vecchio continente viveva all’ombra della potenza americana, oggi ne viene ricattato militarmente ed economicamente. Ieri l’appeasement era un cedimento al nemico, illudendosi di averne qualche garanzia di pace. Oggi significa cedere alle minacce dell’amico, cercando di riportarlo dalla propria parte. Ieri l’aggressore era l’autocrate di Mosca, ricercato dalla giustizia internazionale. Oggi l’aggressore è diventato il leader di una nazione sotto le bombe, e rischia di fare la fine di Nagy. Un drammatico carnevale. Il mondo alla rovescia. Dall’ingenuo irenismo del 1989 alla brutalità di una nuova Yalta.
Oggi l’Europa non ha le carte in mano
E cosa può fare l’Europa nel mondo alla rovescia? Anzitutto prenderne atto con realismo. Sarà difficile evitare il sacrificio dell’Ucraina e forse il sacrificio dello stesso Zelensky, perché di fronte alla prospettiva di una pace ingiusta imposta da Trump e Putin, l’Unione si scopre disarmata, divisa, paralizzata da una governance macchinosa e dalla logica egualitaria dei veti. Lo specchio impietoso della diversa qualità storica e della diversa volontà politica delle opinioni pubbliche nazionali. Chi riuscirà a convincere gli italiani o gli spagnoli, per non parlare di ungheresi e slovacchi, a metter mano al portafoglio per finanziare un esercito continentale? Senza dire che l’ambizioso riarmo di Ursula von der Leyen mal si concilierebbe con il calendario della guerra. Zelensky non può aspettare dieci anni per disporre della protezione militare di Bruxelles. Oggi l’Europa non ha “le carte in mano”. Trump lo sa. E con Trump, perciò, si potrà tentare semmai un qualche appeasement, una ricucitura parziale dei rapporti atlantici, frutto di un confronto comunque asimmetrico fra il potente amico-nemico e la debolezza europea. É questo il vicolo stretto nel quale si muove, pragmaticamente, il governo italiano: il tentativo di limitare le ombre nere che si addensano sul futuro di Kiev.
Ma il problema dell’Europa, se vogliamo dirla tutta, va oltre l’eroica Ucraina e il suo coraggioso presidente. Riguarda la costruzione di un rapporto paritario tra le sponde dell’Atlantico, ovvero l’unico modo per salvare l’Occidente. Una prospettiva non certo immediata, che il precipitare degli eventi, però, sembra aver messo in moto con imprevista rapidità. Dopotutto nei giorni scorsi non è andato in scena soltanto il cruento talkshow dello Studio Ovale. É emerso anche il forte protagonismo di alcuni paesi europei. La Gran Bretagna, la Francia, forse la Germania. I più forti economicamente, i più dotati militarmente, i più coesi sul piano dell’identità nazionale, i più disponibili – nelle rispettive opinioni pubbliche – ad affrontare la storica minaccia di una rottura irreparabile dell’atlantismo e di una vittoria della Russia neoimperiale.
Le tre potenze europee
Tre potenze che contano oltre 210 milioni di abitanti, 12mila miliardi di PIL e due arsenali nucleari. Non già il nocciolo duro dell’Europa di Bruxelles, ma la prefigurazione di un’altra Europa che rompa la gabbia della vecchia Unione, che selezioni chi è dentro e chi è fuori, che assuma la guida de facto del continente, senza chiedere alcuna unanimità, senza essere costretta a mediare fra una selva di obiezioni, senza doversi inchinare al pacifismo opportunistico dei “meridionali” e delle quinte colonne filoputiniste. Un partner che, in sede Nato, si confronti da pari a pari con gli Stati Uniti.
Fantasie? Non proprio. Il ritorno della Gran Bretagna nella geopolitica europea è una realtà e costituisce un evento di grande importanza. Come lo è il protagonismo della Francia. Si dirà che Starmer non è Churchill e Macron non è De Gaulle, ma neppure è difficile scorgere nelle iniziative di Londra e Parigi l’eco della storia novecentesca dell’Inghilterra e della Francia. Del resto, una leadership sovranazionale non s’improvvisa, come dimostra la scarsa incidenza, sulla crisi in atto, dei governanti di Bruxelles. Insultati da Putin, messi alla porta da Trump.
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