Il vertice dei 19 leader a Londra ha messo in evidenza che è arrivato il momento di approfondire ogni singola sillaba utilizzata per definire le contromosse al dì qua dell’Atlantico in sostegno a Kiev. Perché l’iniziativa britannica di convocare il vertice ampliando lo spettro dei partecipanti anche alla Turchia e il riesumare l’espressione “coalizione dei volenterosi” sono la dimostrazione politica che l’Europa non esiste. Il protagonismo d’Oltremanica è in parte la risposta politica al congelamento della speciale relazione con gli Stati Uniti, e questo fa capire che Giorgia Meloni ha avuto l’intuizione giusta nel cercare di colmare quel vuoto.

La palla colta al balzo

La Gran Bretagna è stata tra i più convinti sostenitori dell’Ucraina dai tempi in cui al 10 di Downing Street risiedeva Boris Johnson, e oggi Keir Starmer ha intravisto nel vuoto americano la via giusta per riassumere un ruolo centrale nella politica internazionale ed europea. Così la lite tra Trump-Vance e Zelensky è stata l’occasione che il Regno Unito ha colto al balzo per porsi come capofila della “coalizione dei volenterosi” e per sorpassare la Francia, che allo stato attuale trova più difficoltà a costruire una forma anche minima di coalizione.

La posizione scomoda dell’Italia

Tra il vertice di Parigi e quello dei 19 a Londra è successo di tutto, e l’Italia si trova in una posizione non comoda: l’asse con gli Stati Uniti non può essere minimamente intaccato, e allo stesso tempo una nazione che ha l’ambizione di essere “protagonista” nel mondo non può esimersi dalle sue responsabilità. Meloni per ora non sembra essere affetta dal complesso di Adua, flagello di tanti presidenti del Consiglio nella storia post-unitaria: in politica estera ha saputo giocare la sua partita con una certa abilità, ma ora lo sforzo richiesto sposta le decisioni dal campo politico-diplomatico al ben diverso campo diplomatico-militare, in cui l’Italia dovrà scegliere che animale politico essere. E qui nessuno invidierà Giorgia per la scelta che dovrà prendere. E di certo non lo farà l’opposizione guidata da Elly Schlein, che ancora oggi sulla politica estera non ha alcuna visione che vada oltre qualche banalissimo slogan sulla “pace giusta”, che vuol dire tutto e non vuol dire niente. In questi frangenti, il “pacifismo” è un velo utopistico-ideologico che conduce ai peggiori errori. Ne sanno qualcosa proprio dalle parti di Westminster, dove la politica dell’appeasement voluta da Neville Chamberlain fu un grande errore politico e diplomatico, con le conseguenze che il mondo ha conosciuto. Allora Winston Churchill chiosò: “Potevano scegliere tra il disonore e la guerra. Hanno scelto il disonore e avranno la guerra”.

Le opzioni meno drastiche

Per ora a Meloni sono concesse opzioni meno drastiche, ma non meno cruciali. Da qui l’interrogativo: inviare truppe italiane (per suggellare il fatto che il nostro paese non manca all’appello delle potenze) oppure rimanere ferma sul “no” e lasciare l’iniziativa a Londra e Parigi? Per la presidente del Consiglio, l’Ucraina – se i negoziati andassero bene – potrebbe essere come la Crimea per il Conte di Cavour, un modo per stare seduta al tavolo della pace da protagonista, anche come fiduciario degli Stati Uniti sul campo. Non è una scelta facile, e le perplessità avanzate dalla stessa Meloni sull’interventismo anglo-francese poggiano su obiezioni robuste. A partire dalla più semplice: il rischio, quello che ha innescato sempre i conflitti, “la miccia” che fa saltare le polveri e mette in moto una macchina inarrestabile. Con truppe europee in Ucraina il rischio è concreto, e ogni provocazione – perché ci saranno – porterà il termometro della storia a registrare un inevitabile e conseguente innalzamento brusco delle temperature.

Un tuffo nell’avventura militare

Allo stesso tempo, però, non si può rimare inermi o trincerati solo e unicamente dietro le obiezioni – legittime ma limitate – se poi alla fine gli altri decideranno di tuffarsi nell’avventura militare. Con il rischio di esservi trascinati dopo, venendone etichettati come secondi arrivati, con il peso che ciò avrà sul futuro. Nessuno vorrebbe essere in questo momento al posto di Meloni, eccetto forse proprio Giorgia, che ha sempre ribadito di voler riportare l’Italia ad essere protagonista. E oggi in parte ci è riuscita, non solo per la centralità acquisita ma anche per lusinghe che riceve dai colleghi (Macron su tutti) per unirsi alla coalizione.

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Nato nel 1994, esattamente il 7 ottobre giorno della Battaglia di Lepanto, Calabrese. Allievo non frequentante - per ragioni anagrafiche - di Ansaldo e Longanesi, amo la politica e mi piace raccontarla. Conservatore per vocazione. Direttore di Nazione Futura dal settembre 2022. Fumatore per virtù - non per vizio - di sigari, ho solo un mito John Wayne.