Asse Le Pen-Mélenchon per la sfiducia
Francia nel caos, Barnier verso la sfiducia: il gioco di Macron è in bilico, ultimo tango a Parigi
Il gioco di Macron scricchiola: si è immaginato de Gaulle, giocando un po’ a destra e un po’ a sinistra. Costringere il presidente alle dimissioni sembra diffi cile, ma l’instabilità e le proteste di piazza pesano
Quando l’allora presidente Georges Pompidou dovette annunciare alla Francia e al mondo la morte del suo predecessore Charles de Gaulle, utilizzò un’espressione destinata a entrare nella leggenda e a consegnare alla memoria nazionale l’uomo che ha incarnato in sé stesso la Francia e in cui la Repubblica d’Oltralpe si è a sua volta incarnata, in una simbiosi dal valore epico che ha definito una stagione politica e storica. “Le général de Gaulle est mort. La France est veuve”, disse allora l’erede del gollismo, l’uomo che insieme a Michel Debré del movimento fondato dal Generale ne è stato un autentico “colonnello”.
Il gollismo non è solo una definizione storica e spirituale della Francia, ma l’immagine stessa della solidità di una nazione che è stata rifondata sul gollismo, così come precedentemente lo fu sul Bonapartismo. Se Napoleone poteva vantare davanti alle potenze nemiche alla vigila di Waterloo di aver raccolto la corona di Francia nel fango, de Gaulle sapeva di essere stato l’artefice della rinascita francese dalla catastrofe della Seconda guerra mondiale e dal caos di quella partitocrazia che in un decennio si era arenata su sé stessa. Il gollismo non è stato solo l’incarnazione francese del conservatorismo, ma la sintesi politicamente di parte dell’idea di Stato. Perché la V Repubblica è stata cucita dal sarto costituzionale Debré su de Gaulle e in definitiva sul gollismo che al Generale è sopravvissuto pur trasformandosi nel corso del tempo, ma mantenendo il controllo dell’Eliseo quasi ininterrottamente, con la sola eccezione dei 14 anni di Mitterrand e i cinque di Hollande. Fino al suicidio del gollismo che coincide, non casualmente, con la salita al potere di Macron.
Macron si è immaginato de Gaulle
Emmanuel si è immaginato de Gaulle, ha pensato di poter incarnare in sé stesso la Francia, occupando il centro dello scacchiere politico, giocando un po’ a destra e un po’ a sinistra, consumando socialisti e gollisti: un gioco riuscito per la compiacenza di tanti che nel macronismo hanno trovato un approdo e – di conseguenza – una poltrona sicura. Come si suol dire, “tutto il mondo è paese”. Gioco, quello di Macron, che ha iniziato lentamente a scricchiolare fino al crollo politico nelle elezioni europee e al disastroso primo turno delle elezioni legislative. Monsieur le Président tentò l’ultima alchimia politica, costruendo un blocco di centro tendente a destra e guidato dal gollista Michel Barnier, grazie alla non sfiducia di Madame Le Pen. La stessa Le Pen che ha ora annunciato di essere disposta a votare “qualsiasi mozione di sfiducia”, anche delle forze che hanno costruito il Nuovo Fronte Popolare di Jean Luc Mélenchon e che Macron ha estromesso da qualsiasi possibilità di formare un governo.
Le Pen e il rischio ineleggibilità
Qualcuno ipotizza che la scelta della Signora della destra sia dovuta al rischio di ineleggibilità che pende su di lei e che potrebbe terremotare la politica francese in vista del 2027, data ultima di scadenza senza appello del macronsimo. Forse – e i “forse” stanno alla cronaca come i “se” alla storia – il calcolo lepenista è più banalmente quello di stringere il presidente nella morsa dell’impopolarità e dell’instabilità politica, con l’infallibilità di sciogliere le Camere ancora per diversi mesi. Costringere Macron alle dimissioni sembra impossibile, ma l’instabilità potrebbe giocare a favore delle opposizioni.
Fino a quando Emmanuel potrebbe resistere alle pressioni politiche se fossero rafforzate dalla piazza? Del resto, l’opinione pubblica non ha certo in amore l’inquilino dell’Eliseo. Per ora il presidente glissa e afferma che “non ha senso lasciare prima del 2027”. Intanto per il 5 dicembre è confermato uno sciopero nazionale contro le riforme del governo, e Barnier è già giunto al capolinea, salvo improvvise sorprese. Per citare un Claudio Martelli d’antan: “Quando si arriva al capolinea si scende tutti, macchinista compreso”. E Barnier capotreno non lo è di certo, Macron sì.
La Francia vive oggi uno dei periodi politici più complessi, e per la prima volta si percepisce realmente vedova del gollismo. Quel gollismo che ha fatto della “grandeur” la sua unica missione politica, poi tradito da troppi suoi eredi e annichilito a provincia macroniana. La Francia ora attende l’epilogo di questo nuovo capitolo di una saga frutto di quello che è un cortocircuito istituzionale, reso tale da un sistema concepito sul binomio gollismo/socialismo, che con la discesa di Macron è gradualmente imploso.
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