Il Coraggio di Partire”, l’evento che ha caratterizzato il fine settimana a Milano ha interessato 2500 persone che hanno seguito 69 speaker in oltre dodici ore di dibattiti. Una kermesse di idee in cui liberaldemocrazia, merito, libertà, Europa sono state le parole più ricorrenti. Sul palco, insieme a Luigi Marattin – di Orizzonti Liberali – anche Alessandro De Nicola, Carlo Cottarelli, Oscar Giannino, Alessandro Tommasi di Nos e Andrea Marcucci, leader di Libdem dalla lunga esperienza parlamentare. A lui abbiamo chiesto una sintesi politica.

Che bilancio trae della due giorni del Coraggio di Partire?
«Il viaggio è iniziato molto bene, con l’entusiasmo e la passione di chi ha partecipato. Ci aspetta un percorso lungo e difficile: allentare le morse di un bipolarismo forzato, restituire indipendenza all’area Libdem».

Questo avvio di percorso porterà alla fusione o alla federazione tra loro dei soggetti coinvolti?
«Dall’inizio di questa avventura, abbiamo detto un partito unico. Ed aggiungo: aperto, inclusivo, contendibile. E vocato al dialogo con i poli, senza pregiudizi ideologici, parleremo con tutti, senza fare sconti a nessuno».

E adesso come si svilupperà? Quali e quando le prossime tappe?
«C’è un comitato di personalità, tra le quali Alessandro De Nicola, Oscar Giannino, gli amici di Nos, e tanti giovani dirigenti, che definirà un percorso. Il traguardo sarà il nuovo partito, entro il 2025».

C’è già un’idea di nome per il partito che nascerà?
«Siamo molto affezionati alla parola che descrive la nostra cultura ed orientamento politico: per l’appunto liberaldemocratico. Comunque lo decideremo insieme».

C’è lo spazio politico per sviluppare una iniziativa liberaldemocratica, in Italia?
«Il centrosinistra è diventato semplicemente sinistra, il centro destra più precisamente destra. Chi doveva fare da elemento moderatore alle coalizioni, è nell’angolo. Non riusciranno a farlo neanche Italia Viva e Azione con il campo largo, destinati a piccoli recinti, spesso addirittura mal visti dagli altri alleati. Io credo che in Italia ci sia lo spazio, ed anche la voglia, di una terza possibilità: il partito dei libdem».

Quali saranno le priorità in termini di programma?
«Quelle di Carlo Cottarelli in economia, quelle dei garantisti sulla giustizia, l’atlantismo per la politica internazionale. Soffro quando sento il sottosegretario Delmastro parlare del suo intimo piacere a far mancare l’aria ai carcerati, o l’eurodeputato Marco Tarquinio proporre il superamento della Nato. Non ci meritiamo queste coalizioni».

E la famiglia europea di riferimento?
«Quella l’abbiamo già: è l’Alde, che è da sempre il riferimento europeo dei liberali. Alle sfortunate elezioni europee, avevamo come capolista di Stati Uniti d’Europa nel Nord Est, Graham Watson, a lungo capogruppo dell’Alde. Una bandiera per noi».

Le grandi questioni di politica internazionale si fanno dirimenti…
«Pace a Kiev, ma le condizioni devono essere concordate con il Paese che ha subito un’immonda aggressione: l’Ucraina. Ed anche in Medio Oriente vedo una pericolosissima aggressione ad Israele, che va oltre le responsabilità relative a Gaza. Sono lontano dalle politiche di Netanyahu, la decisione della Corte dell’Aja, però, non mi piace per nulla, non si possono mettere sullo stesso piano terroristi sanguinari ed uno stato democratico. L’antisemitismo nel mondo Occidentale non ha mai portato bene: va sradicato senza tanti tentennamenti».

Serve un modello di difesa europeo, una voce unica per la politica estera europea. Il vostro riferimento è sempre Mario Draghi e la sua agenda?
«Non più rinviabile, direi. E vedo con piacere che Ursula von der Leyen e lo stesso Presidente Macron abbiano deciso di procedere in questa legislatura. Draghi sempre, perché per l’Europa è davvero l’ultima occasione: o ora o mai più. Nel senso che dobbiamo tornare attori globali o saremo travolti dai continenti emergenti. E non scordiamoci che Europa è democrazia».

Ultimo ma non meno importante: il leader. Chi vede come primus inter pares tra voi?
«Avremo organi e regole che a tempo debito lo decideranno. Ora direi senza dubbio Luigi Marattin. Mi piacerebbe, appena sarà possibile, arrivare al congresso con tante giovani donne e giovani uomini che decidono di candidarsi. Non saremo un partito personale, perché nessuno di noi ha in testa di ‘possederlo’».

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.