È un gioco all’italiana quello scelto dall’Europa per respingere gli assalti di Trump. Esercito comune, Ucraina, materie prime, dazi. Al pressing di Washington ci siamo chiusi in difesa. Con la speranza che, più siamo sulla linea di porta, meno gol riceviamo. Nel frattempo, può scapparci qualche contropiede. Finora la tattica non ha portato grandi risultati, però. Il motivo è semplice. Ogni singola azione manca della squadra di appoggio, che dovrebbe spostare il baricentro della partita verso la metacampo avversaria.

La tela di fake news

Le mosse successive al summit di Londra domenica ne sono una dimostrazione. Da allora, Francia e Regno Unito si sono palleggiate l’intenzione di riportare Zelensky a più miti consigli. Magari con un viaggio a tre di nuovo oltreoceano. Il fatto è che le buone intenzioni sono avvolte da una tela di fake news. La prima è quella della lettera che, stando a Trump, Zelensky avrebbe inviato alla Casa Bianca. Falso. Come forse lo è tutta la missione. Da Parigi ieri si sono succedute prima la conferma e poi la smentita del viaggio. Macron può permettersi di fare il solista perché non ha da rispondere all’elettorato.

Le ambizioni dell’Eliseo e l’ombrello nucleare

Ciò non toglie che ogni sua presa di posizione venga rigettata. Dai partner Ue, quanto dall’opposizione interna. Marine Le Pen ha seccamente detto che il nucleare francese non può essere usato né come ombrello Ue, né all’interno di un’operazione di peacekeeping in Ucraina. Questo vuol dire azzoppare le ambizioni dell’Eliseo che brama un ruolo da protagonista nel processo di pace e, in un secondo tempo, nella costruzione della difesa comune Ue. Del resto RearmEurope non implica una qualche dotazione nucleare.

Londra oggi non è Europa

Anche Starmer sta giocando la sua partita. Nella tradizione della diplomazia britannica di voler stare alla finestra a osservare le dinamiche dell’Europa continentale, per poi entrare in gioco con il proprio carico da novanta. La differenza, rispetto al passato, è che Londra oggi non è Europa. Punto di forza per Downing Street, che così può muoversi in autonomia, senza la zavorra di Bruxelles. Magari dimostrando all’opinione pubblica interna quanto l’Ue abbia ancora bisogno della cara e vecchia Inghilterra. D’altra parte, un summit Ue-Usa non è escluso. Quindi non solo Trump, Zelensky, Macron e Starmer. Ma tutti. «Accogliamo con favore questa idea», dicevano ieri nella capitale europea. Senza però che si facesse il nome dell’autrice della proposta: Giorgia Meloni.

Il resto è tutto in stand by. Il che è assurdo se si pensa quanto veloce sia Trump. Se si dà credito alle parole di un funzionario Ue ieri, sul fatto che «parlare dei dettagli della coalizione dei volenterosi è ancora prematuro», si ha la percezione di come Bruxelles viva in una sua bolla, fatta di tempi e procedure del tutto inammissibili. La stessa Ursula von der Leyen ha le mani legate. Oggi entra in Consiglio Ue con il piano RearmEurope, ma è consapevole che troverà l’opposizione di Orban. Il leader ungherese è il dodicesimo uomo della squadra di Trump, ma con la nostra maglia. Questo non ha facilitato gli Usa. Per nulla. Washington è arrivata fino alla nostra area di rigore perché noi abbiamo fatto inutilmente catenaccio. Vale la pensa riflettere sul disincanto del cancelliere tedesco in pectore Friedrich Merz: «Mancano cinque minuti a mezzanotte». O al triplo fischio dell’arbitro. A seconda della metafora. Poi quel nuovo ordine mondiale, costruito sull’alleanza Stati Uniti-Russia e sul sovvertimento della verità, sarà compiuto. E lì arriveranno i gol seri.