Esteri
Le pressioni di Trump, lo strappo ricucito da Zelensky e l’accordo sulle terre rare. Kiev ha fretta: l’esercito ha scorte solo per 6 mesi

La decisione era nell’aria già da tempo. Al punto che qualcuno sospetta che il litigio tra Donald Trump e Volodymyr Zelensky nello Studio Ovale (con la partecipazione di J.D. Vance) fosse stato architettato in modo da provocare il presidente ucraino e giustificare così uno stop alle armi di cui si parlava da settimane. Ora però la minaccia è diventata realtà. E con l’ordine di bloccare le forniture militari “made in Usa”, le alternative per Kiev sono apparse subito molto ridotte. Perché quello deciso da The Donald è stato lo strumento di massima pressione per convincere Zelensky, il leader accusato ancora una volta dal vicepresidente Vance di non essere pronto né disposto alla pace. E alla fine, ieri, il presidente ucraino ha dovuto fare pubblica ammenda, sapendo bene che – dopo lo stop alle armi Usa – la situazione sul campo può di fatto portare alla resa anche senza tregua.
L’accordo sulle terre rare
Zelensky ha voluto lanciare il suo messaggio di distensione direttamente attraverso i social. “Nessuno desidera la pace più degli ucraini. La mia squadra e io siamo pronti a lavorare sotto la forte leadership del presidente Trump per raggiungere una pace duratura”, ha affermato. “Siamo pronti a lavorare velocemente per porre fine alla guerra. Le prime fasi potrebbero essere il rilascio dei prigionieri e una tregua aerea (divieto di lancio missili, droni a lungo raggio, bombe su infrastrutture energetiche e altre infrastrutture civili) e una tregua marittima, se la Russia farà lo stesso”, ha proposto il presidente ucraino. E oltre ad aver detto di essere disposto a firmare l’accordo sui minerali con Trump in qualsiasi momento e “in qualsiasi formato”, Zelensky ha anche aggiunto il suo dispiacere per quanto avvenuto alla Casa Bianca durante il vertice con The Donald. L’incontro che doveva essere l’occasione per firmare quell’accordo sulle terre rare (ma in generale sui minerali ucraini) che per Trump era l’elemento più importante della sua agenda ucraina e il vero perno su cui far poi ruotare le garanzie di sicurezza nei riguardi di Kiev. Il cambio di rotta da parte di Zelensky è stato rapido, ma non impossibile da prevedere. La mossa era stata di fatto anticipata poche ore prima dal consigliere presidenziale ucraino Mykhailo Podolyak. ”Naturalmente non stiamo trascurando la possibilità di negoziati con le nostre controparti americane”, aveva scritto. E quell’apertura da parte di uno degli uomini più vicini al presidente era apparso già un primo indizio sul fatto che Kiev stesse riflettendo su un approccio più morbido nei riguardi di Washington dopo il gelo di questi giorni. Del resto, per l’Ucraina i margini di trattativa si sono rivelati da subito esigui.
Il tempo è ridotto
La soluzione alternativa alle forniture degli Stati Uniti, di fatto, non esiste. L’Unione europea, che ha paesi membri con ottime industrie belliche, non può colmare il vuoto lasciato dai mezzi e dai sistemi americani. Gli arsenali si trovano già in condizioni difficili e non possono essere svuotati per rifornire Kiev. Inoltre non tutto ciò che è prodotto negli Stati Uniti viene fabbricato nella stessa qualità e nella stessa quantità nel vecchio continente. L’Ucraina produce una parte del suo fabbisogno, ma del tutto insufficiente a resistere alla pressione russa. E, proprio per questo motivo, a Kiev sanno benissimo che il tempo a disposizione delle forze armate e del governo è assai ridotto. La maggior parte degli esperti ritiene che, con lo stop Usa, l’esercito ucraino ha scorte solo per 6 mesi, mantenendo questo ritmo nei combattimenti. E in generale, Zelensky è ben consapevole del fatto che rompere definitivamente con Trump si sarebbe rivelato pericoloso anche per i rapporti con l’Europa, dove i governi sono tutti a sostegno di Kiev (secondo il Financial times ci sono ampie discussioni per usare gli asset russi congelati come garanzie al piano di pace) ma senza arrivare allo scontro con Washington.
Non è un caso che la dichiarazione con cui il presidente ucraino ha ceduto alle pressioni Usa è arrivata dopo una telefonata con il premier britannico Keir Starmer, il leader che nelle ultime settimane è apparso più nelle simpatie del presidente degli Stati Uniti. Un portavoce di Downing Street ha confermato ai media britannici il contatto tra il presidente ucraino e il primo ministro, ricordando anche l’impegno di Starmer nel trovare una soluzione allo scontro tra Kiev e Washington. E per Londra questo può essere un ulteriore passo non solo verso la piena sinergia con l’alleato Oltreoceano, ma anche verso un ruolo nel dopoguerra ucraino e nell’eventuale missione di pace.
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