La guerra di business di Trump
Corsa agli armamenti, non solo in chiave pro Ucraina: gli 800 miliardi di RearmEurope accelerano la Difesa UE

RearmEurope. È questo il nome del piano strategico per potenziare la difesa europea, presentato ieri da Ursula von der Leyen a Bruxelles. È una corsa agli armamenti non solo in chiave pro Ucraina. Von der Leyen ha parlato poche ore dopo lo stop di Trump agli aiuti militari a Kyiv. Ma con una visione di lungo corso, che dovrebbe dare un’accelerata all’Unione europea anche in fatto di sicurezza.
Che cos’è RearmEurope la manovra da 800 miliardi
È una manovra da 800 miliardi: 300 in più rispetto ai 500 stimati dalla stessa Commissione Ue lo scorso anno, per il fabbisogno di investimenti in sicurezza. Della stessa portata del Next Generation EU, varato per la ricostruzione dell’economia europea falcidiata dal Covid, e 200 miliardi in meno rispetto al Green Deal del 2019. «In un’era di riarmo – ha spiegato von der Leyen – è necessario che l’Ue sia pronta ad agire con determinazione e velocità». Parliamo di capacità paneuropea in fatto di difesa aerea e missilistica, droni, munizioni, mobilità informatica. Il piano per la creazione di una forza armata continentale si declina in cinque punti, di natura squisitamente finanziaria, che dovrebbero tamponare perplessità e posizioni contrarie a priori. Per prima cosa, l’attivazione della clausola di salvaguardia del Patto di Stabilità, che limita i deficit di bilancio Paesi Ue, permettendo loro di aumentare la spesa dell’1,5% sul Pil senza incorrere nelle procedure per debito eccessivo. Da qui il secondo punto: la creazione di uno spazio fiscale di 150 miliardi di euro in prestiti per potenziare gli acquisti congiunti in settori come difesa aerea, droni, mobilità militare e cybersicurezza. Sono poi messi nero su bianco maggiori incentivi ai Paesi che decidano di utilizzare i fondi di coesione per aumentare gli investimenti nella difesa. Ultimi step – quelli più in linea con la “Dottrina Draghi” – la mobilitazione di capitali privati, attraverso (finalmente) la creazione dell’unione dei capitali e una revisione delle competenze della Banca Europea per gli Investimenti.
Il progetto risponde alle emergenze di questi ultimi giorni, quanto anche al “do something” di Draghi. Attenzione però ai precedenti. Il Covid aveva bloccato sul nascere il Green Deal. Con la pandemia, l’Europa si era resa conto di fare parte di un sistema di approvvigionamento globale, tale per cui molti di quelle materie prime e di quei prodotti d’importazione, che indicava fuori dai propri parametri di decarbonizzazione, erano risultati all’improvviso indispensabili. L’animo green venne messo in ghiacciaia e le risorse dirottare altrove. Oggi la corsa agli armamenti è il problema fondamentale per Bruxelles. Domani sarà altrettanto?
La guerra commerciale
Non dimentichiamoci infatti che la nostra è un’economia di pace e che il benessere diffuso nella società europea si è radicato proprio grazie all’industria manifatturiera. Di più: la guerra che ci ha dichiarato Trump è commerciale. Mirata a colpire automotive, chimica, farmaceutica, agroalimentare. È un conflitto che corre sul web, destinato ad avere vita molto più lunga rispetto al “dossier Ucraina” o, in senso più lato, alla sicurezza militare. Peraltro, proprio nella difesa gli Usa hanno stanziato 883 miliardi di dollari solo per quest’anno. Mentre gli 800 miliardi del RearmEurope sarebbero spalmati su cinque anni. Ma diciamo pure che il piano sia coerente con un trend globale di lungo periodo. Per l’efficientamento di un esercito serio ci vogliono dai quindici ai vent’anni. La vera urgenza è dotarsi di una capacità commerciale e finanziaria che ci permetta di dire, agli Usa come a qualsiasi altro nostro partner: “abbiamo già tutto. Grazie”. Il quarto e il quinto punto del piano sembrano andare in questa giusta direzione. D’altra parte, la filiera degli armamenti non è un libero mercato. Né in fatto di capitali privati mobilitabili, né di consumatore di riferimento. Dal 1945 a oggi, l’Ue si è specializzata nel finanziare le infrastrutture, sostenere l’agricoltura e incentivare progetti culturali. Siamo davvero pronti a questo switch?
Veti e frizioni
Detto questo l’ottimismo è un’ostinata necessità. Come ha detto il Ministro Tajani, «ora il piano va realizzato». Perché non ci sono altre strade. Quindi vediamo cosa succederà domani, quando RearmEurope arriverà al Consiglio Ue straordinario, dove tra veti e frizioni sappiamo che nulla può esser dato per scontato.
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