“Metti a Cassano”. Dopo 16 anni quello spot elettorale è ancora un modello di comunicazione politica. Giusto un anziano di Bari, con famiglia intorno, che guarda la partita in tv ed esorta l’allora allenatore della nazionale Trapattoni a far giocare la stella emergente, il barese Antonio Cassano. Solo alla fine l’invito a votare il candidato sindaco del centrosinistra, Michele Emiliano. I baresi, nel 2004 «misero a Emiliano» a sorpresa come a sorpresa, contro i desiderata del vertice del Pd, Emiliano si era imposto come candidato. Sembrò l’inizio di un’impetuosa onda. L’anno dopo Nichi Vendola sfidò a propria volta la leadership del centrosinistra, vinse le primarie e poi le elezioni a presidente della Puglia. A Milano un altro outsider, Pisapia, diventò sindaco. Di quello squadrone di sindaci e presidenti di Regione che sembravano destinati a rovesciare come un guanto la sinistra politica è rimasto in campo solo, lui, Michele Emiliano, trionfatore due giorni fa in Puglia.

Per i tipi come lui gli americani hanno una definizione precisa, Larger than Life, perché la vita stessa fatica a contenerne l’esuberanza. Nel caso di Emiliano, classe 1959, il ritratto è anche fisicamente attagliato, un metro e 90 per 120 kg, rumoroso, effervescente, imprevedibile, ingovernabile, impermeabile a qualsivoglia disciplina di partito o coalizione. Emiliano gioca in proprio e non lo nasconde. Figlio di un calciatore diventato poi imprenditore, buon giocatore di basket e ovviamente abile col pallone. Era in squadra con Franco Giordano, futuro segretario di Rifondazione e allora grande promessa del calcio barese. Dovevano essere una coppia ben strana: Emiliano gigantesco, Giordano piccolo e scattante. «Mi copriva le spalle» ricorderà anni dopo il rifondatore.

Laureato in giurisprudenza, avvocato per pochi mesi, Emiliano passa poi alla magistratura all’inizio dei ‘90, prima ad Agrigento con Rosario Livatino, poi all’antimafia di Brindisi, incaricato delle indagini sulla Sacra Corona Unita. Un giudice insomma? Macché. Lui, anche se non ha mai lasciato la toga e ha continuato a figurare per decenni come “in aspettativa”, ci tiene a far sapere che quello che gli piace fare è il magistrato, senza dover poi giudicare. Un magistrato d’azione, di quelli che ai tempi di Wyatt Earp avrebbero sfoggiato uno stellone gigante: uno sceriffo insomma. Quando nel 2018 una sentenza della Cassazione lo costringe a scegliere tra la toga in aspettativa nell’armadio e la tessera del Pd non ci pensa su due volte e straccia la tessera. Sin dall’inizio della nuova carriera di uomo politico, l’ex magistrato sfodera il suo stile. Comunicazione diretta, lui e il popolo senza fronzoli e corpi intermedi e se sembra proprio lo stile tipico del populismo poco male. Quel che conta è che funzioni e in effetti funziona. Quanto a coerenza con le assicurazioni più solenni, il sindaco precorre i tempi, anticipa l’abitudine ormai universale a fare il contrario di quanto promesso e garantito. Giura che non sarà mai segretario del Pd pugliese, la cosa proprio non gli interessa. Nel 2007 diventa appunto segretario. Strilla che la presidenza di Regione è quanto di più distante dai suoi interessi e dai suoi desideri. Nel 2015, dopo essere stato per due volte primo cittadino barese, si candida alla guida della Regione vince e succede Nichi Vendola come “governatore”.

Lo “scandalo delle cozze” del 2012 non ne mina la popolarità. Regalo della famiglia Degennaro, palazzinari vicini al Pd, e anche se le cozze sono tante da richiedere l’uso della vasca da bagno per contenerle tutte la polemica è infondata e pretestuosa. Ma col clima giustizialista imperante anche per reggere a una simile accusa priva di sostanza ci vuole stazza e quella a Michelone certo non difetta. Neppur le critiche per essersi tenuto come addetta stampa la moglie arrivano a destinazione. Emiliano si limita a scrollare le spalle: «È la migliore addetta stampa che mi è capitata e dovrei farne a meno solo perché mi sono innamorato». Quando alla guida del Pd arriva Renzi le scintille diventano incendio. Per una volta il magistrato che non ama giudicare, giudica e condanna: «È un venditore di pentole». Quando il governo decide la proroga sino a esaurimento dei giacimenti delle trivelle il fronteggiamento finisce a botte. Emiliano è tra quelli che chiedono il referendum contro la legge voluta dal suo segretario ma il quorum non viene raggiunto. Poi si schiera contro il premier nel referendum costituzionale e, dopo la sconfitta e le dimissioni da premier di Renzi, si candida, perdendo, a segretario del Pd. Non che sperasse di vincere. La mossa a effetto gli serve a rinsaldare le posizioni nella regione che è sempre più “sua”. Fa a lungo fronte comune con i futuri scissionisti di Bersani e D’Alema ma all’ultimo si tira indietro. Nessuno può negargli un sicuro fiuto.

All’inizio di quest’anno sgomina la concorrenza nelle primarie e con il 70% dei consensi si candida a succedere a se stesso. Lo danno tutti per sconfitto. Lo stellone da sceriffo di cui si fregia, come il collega campano De Luca, sembra in declino inarrestabile. De Luca sconfigge la sorte che pareva segnata grazie al Covid. Emiliano in apparenza no. Lo continuano a dare tutti per sconfitto sino alla sera prima del voto. Lui non si perde d’animo, accumula una quantità di liste da raccolta di figurine, largheggia in prebende. Quando si arriva alla conta è la vera sorpresa: vince facile e di molte lunghezze. Un presidente di Regione del Pd e del centrosinistra? Ecco su questo, come nel caso di De Luca, è lecito nutrire dubbi. Emiliano, come il campano, risponde solo ed esclusivamente a Michele Emiliano.

Lo “scandalo delle cozze” del 2012 non ne mina la popolarità. Regalo della famiglia Degennaro, palazzinari vicini al Pd, e anche se le cozze sono tante da richiedere l’uso della vasca da bagno per contenerle tutte la polemica è infondata e pretestuosa. Ma col clima giustizialista imperante anche per reggere a una simile accusa priva di sostanza ci vuole stazza e quella a Michelone certo non difetta. Neppur le critiche per essersi tenuto come addetta stampa la moglie arrivano a destinazione. Emiliano si limita a scrollare le spalle: «È la migliore addetta stampa che mi è capitata e dovrei farne a meno solo perché mi sono innamorato».

Quando alla guida del Pd arriva Renzi le scintille diventano incendio. Per una volta il magistrato che non ama giudicare, giudica e condanna: «È un venditore di pentole». Quando il governo decide la proroga sino a esaurimento dei giacimenti delle trivelle il fronteggiamento finisce a botte. Emiliano è tra quelli che chiedono il referendum contro la legge voluta dal suo segretario ma il quorum non viene raggiunto. Poi si schiera contro il premier nel referendum costituzionale e, dopo la sconfitta e le dimissioni da premier di Renzi, si candida, perdendo, a segretario del Pd. Non che sperasse di vincere. La mossa a effetto gli serve a rinsaldare le posizioni nella regione che è sempre più “sua”. Fa a lungo fronte comune con i futuri scissionisti di Bersani e D’Alema ma all’ultimo si tira indietro. Nessuno può negargli un sicuro fiuto.
All’inizio di quest’anno sgomina la concorrenza nelle primarie e con il 70% dei consensi si candida a succedere a se stesso. Lo danno tutti per sconfitto. Lo stellone da sceriffo di cui si fregia, come il collega campano De Luca, sembra in declino inarrestabile. De Luca sconfigge la sorte che pareva segnata grazie al Covid. Emiliano in apparenza no.

Lo continuano a dare tutti per sconfitto sino alla sera prima del voto. Lui non si perde d’animo, accumula una quantità di liste da raccolta di figurine, largheggia in prebende. Quando si arriva alla conta è la vera sorpresa: vince facile e di molte lunghezze. Un presidente di Regione del Pd e del centrosinistra? Ecco su questo, come nel caso di De Luca, è lecito nutrire dubbi. Emiliano, come il campano, risponde solo ed esclusivamente a Michele Emiliano.