È morto Giusi La Ganga, uno di noi. Aveva sei anni meno di me. Un ritrattone? Un ritrattone. In alcuni giornali lo chiedono come grande affresco: tu ricordi tutto di quell’epoca, tu c’eri, eccetera. C’ero. E capisco bene che chi oggi ha solo trent’anni non ne ha idea. Anche io quando avevo trent’anni non capivo molto di quel che era accaduto. Non è soltanto una questione generazionale, banale: si invecchia, si muore, qualcuno ricorda, qualcun’altro no. Il cambio avviene quando un mondo intero si inabissa e in quel mondo che colava a picco c’era anche lui, Giusi – che qualcuno scriveva Giusy – La Ganga.

Che già, come nome, parte male. Ganga-gangster, ovvietà. Poi, figuriamoci, socialista. Socialista uguale ladro. Umberto Bossi che urlava tutto il suo antifascismo militante cercando di essere più “resistente” dei vecchi dell’Anpi, i socialisti se li mangiava a colazione. Tanto che il povero Giusi, nato craxiano e per questo precipitato nel girone dei craxiani piemontesi, messo alla gogna per aver amministrato il partito foraggiandolo con tangenti sugli appalti come si faceva allora, fu marchiato a fuoco finché durò la bufera. Ma quando la bufera passò, approdò nel PD, recuperato da Chiamparino e dall’ala buonista del PD piemontese.  Non so di che cosa sia morto Giusi La Ganga. Vorrei sempre sapere esattamente di che cosa muore qualcuno, con i dettagli, quali sono state le sue ultime parole, se aveva paura di morire. I giornali e le agenzie non ne vogliono sapere: si è spento ieri, è improvvisamente deceduto, è morto dopo una breve lunga malattia, si passa istantaneamente da carne viva a lapide. E per completare la sepoltura occorre dunque una lapide.

La Ganga patteggiò una pena di un anno e mezzo circa e pagò una multa (o altro genere di inflizione pecuniaria) più o meno di mezzo miliardo di vecchie lire. Poi disse: «Credo di aver pagato tutti i miei debiti. Materiali e non». E uscì di scena, tanto che non se ne parlò quasi più e quando mi hanno detto che era morto sono dovuto andare a guardare le vecchie foto su Internet: aveva un viso intelligente e triste, con una diagonale ironica, ma non sarcastica. Era come se sapesse che una volta marchiato col cono d’ombra, sei morto per sempre. Non è successo così anche al socialista e mio carissimo amico Ottaviano Del Turco? ”Socialistuzzi, ladrungelli”, mi gridava in Calabria l’intellettuale comunista (poi passato ai socialisti) Pasquino Crupi. E in tutt’Italia si era scatenata questa crociata guidata da Repubblica e Unità, ma anche Stampa e Corriere. Con quel nome, tutti i satiri e satiristi si divertirono un mondo. Il disegnatore satirico Giorgio Forattini (che diventò una star quando disegnò Amintore Fanfani – noto per la sua bassa statura – come “il tappo” sparato da una bottiglia di champagne quando il divorzio vinse al referendum) lo disegnava con le sembianze di Pietro Gambadilegno, il gangster nemico di Topolino negli anni Quaranta.

E poi tutti i disegnatori e gli autori di satira attingevano al serbatoio del mondo disneyano. Tanto che ancora oggi si considera Giuseppe Conte equivalente al papero fortunato Gastone e per anni Berlusconi è stato rappresentato come zio Paperone, il ricco spilorcio ispirato a Scroodge del Racconto di Natale di Dickens. Persino il termine “Tangentopoli” fu un adattamento di Paperopoli, la città in cui vivevano tutti i paperi e Giuliano Amato, tornato a sinistra dopo essere stato per anni il numero due di Craxi, parlava di un ipotetico “partito Eta Beta”, richiamandosi a un ominide venuto dal futuro, amico di Mickey Mouse. Anche quel mondo di riferimenti è finito. Persino Charlie Brown, non c’è più. La Ganga, per l’immaginario collettivo del popolo leghista e del loro segretario Bossi, era soltanto un membro della “banda Bassotti”, altra produzione disneyana di galeotti con la mascherina sugli occhi, esperti in casseforti.

Ma La Ganga fu processato per rifornimenti illeciti al partito socialista insieme a due democristiani importanti che facevano lo stesso mestiere: Severino Citaristi e Vito Bonsignore. Era l’epoca in cui si distinguevano i politici onesti che “rubavano per il partito” dai disonesti che intascavano in proprio. Un mondo etico più finto di Paperopoli: la questione dell’approvvigionamento illecito del partito, che beccavano anche il finanziamento pubblico e non gli bastava, era nata con il compromesso che garantiva al Pci l’impunità per i suoi rifornimenti annuali ottenuti da Mosca in dollari poi cambiati all’Ior di monsignor Marcinkus (testimonianza di Cossiga quando era sottosegretario di Moro), compromesso che non poteva impedire a tutti gli altri partiti di arraffare soldi ovunque potessero, visto che la politica aveva costi astronomici.

Questo fu anche il senso del celebre discorso alla Camera di Bettino Craxi il 3 luglio del 1992 quando il segretario socialista ormai braccato come il “cinghialone” (altro disegno celeberrimo di Forattini) si rivolse a tutti i colleghi degli altri partiti sfidandoli a negare che i loro approvvigionamenti avvenissero al di fuori della legge. Nessuno si alzò o fece un cenno. Silenzio di tomba mentre Craxi parlava in quel modo scandito guardando intensamente tutti, girandosi e cercando l’incontro degli sguardi, anziché sfuggirlo, com’era nel suo carattere. Per la cronaca, la condanna che La Ganga patteggiò -esattamente venti mesi – riguardava una tangente legata al nuovo ospedale di Asti e dove a quanto pare democristiani e socialisti presero la loro fetta. Passata la bufera, Chiamparino e Fassino lo accolsero nel Pd torinese guidando una confluenza di “socialisti per il Partito democratico” e per sette anni fu consigliere comunale a Torino, finché le condizioni di salute glielo permisero.

Avatar photo

Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.