Si racconta che quando lo sceneggiatore Jean-Michel Charlier e il disegnatore Jean Giraud (o Moebius, se si preferisce), abbiano deciso di creare il personaggio del tenente Mike Donovan Blueberry del 7° reggimento di cavalleria, il loro occhio si sia posato sulla copertina di un settimanale con il volto di Jean-Paul Belmondo. «È lui», hanno detto insieme; e così, eccolo come è apparso tavola dopo tavola, conquistando legioni di ragazzini: fisico atletico, grinta dura, ironica e beffarda. Leggenda? Beh, come la celebre, finale battuta de L’uomo che uccise Liberty Valance: «Qui siamo nel West, dove se la leggenda diventa realtà, vince la leggenda». Basta sostituire West a cinema, avventura; che spesso si sovrappongono.

“Bébel”, o “le Magnifique”, del resto, lui stesso una leggenda: aria scanzonata, da incorreggibile scavezzacollo, naso schiacciato come quello di un consumato boxeur, battuta pronta e salace, di chi ride del mondo, a partire da se stesso… Una inconfondibile eleganza francese che si è un po’ persa anche a Parigi: è questo il suo segreto? È stato sempre amato e invidiato: amava le donne e loro amavano lui. Conteso dalle più belle donne del cinema, protagonista di tanti amori e di flirt: Élodie Constantin, Ursula Andress, Laura Antonelli, Natty Tardivel, Barbara Gandolfi. Un mostro sacro, non solo del cinema francese: indimenticabile in film come Fino all’ultimo respiro di Jean-Luc Godard; e fin da subito dimostra i suoi talenti in A doppia mandata del quasi esordiente Claude Chabrol.

Con Alain Delon (altro mostro sacro del cinema francese) forma una coppia che fa pensare ai “duelli” ciclistici di Fausto Coppi e Gino Bartali. Ma rispetto a Delon, che certo ha canoni fisici apparentemente superiori, “Bébel” oppone simpatia canagliesca e talento innato. Lo sanno bene Vittorio De Sica che lo sceglie per il ruolo di Michele ne“La ciociara e Mauro Bolognini, che lo vuole nei panni di Amerigo ne La viaccia. Dietro quella maschera da guascone, un grande attore: come dimostra in Asfalto che scotta di Claude Sautet, accanto a un superbo Lino Ventura: la critica lo comincia ad apprezzare, sottolinea la sua interpretazione seria e malinconica, interpretando il ruolo di Eric Stark dimostra talento e intensità drammatica. Poi vengono altri “noir”: Quello che spara per primo, di Jean Becker; Quando torna l’inverno di Henri Verneuil; Lo spione, di Jean-Pierre Melville. Ma anche ruoli brillanti, da commedia, come L’uomo di Rio di Philippe de Broca; e, naturalmente, l’indimenticabile Borsalino di Jacques Deray. Delon ha buone ragioni per dolersi, e “andare storto”: i due attori sono bravissimi, ma Belmondo eccelle di netto.

Infaticabile, si dedica negli ultimi anni al teatro, e anche lì eccelle: ripassa tutti i grandi classici, veste perfino i panni del mattatore Kean e aspira a un finale di carriera da “padre nobile”, guadagnandosi intanto il Premio Cesar come miglior attore nel 1989. Apprezzato da registi del calibro di Claude Lelouch, François Truffaut, Louis Malle, José Giovanni, incarna un certo cinema francese che va da Jean Gabin a Yves Montand, fino a Serge Reggiani e Lino Ventura. Un cinema che ormai lo si può ritrovare solo in cineteca o nelle retrospettive di qualche festival.