Il cinema fischia. Dai western musicati Morricone (c’è attesa al festival per Ennio, il documentario che Giuseppe Tornatore dedica al maestro), a Biancaneve e Mary Poppins. Fino alle lady spietate di Kill Bill di Tarantino. Ma fischia anche il cinema in concorso alla Mostra (non fa altrettanto il pubblico. Fin qui, vista la qualità media, davvero non ne ha motivo).

È un fischiettare d’amore, quello tra i coniugi Servillo e Saponangelo di È stata la mano di Dio. Fischio di terrore quello di Benedict Cumberbatch, cowboy spietato e pieno di segreti in The Power of the Dog di Jane Campion. Il film che la splendida autrice neozelandese di Lezioni di piano e Un angelo alla mia tavola (Leone d’Argento nel 1990) porta quest’anno in gara, è targato Netflix. Atteso sulla piattaforma a dicembre. Ambientato laggiù nel Montana del 1925, tratto dal romanzo omonimo di Thomas Savage, è un feuilleton famigliare dove nessuno si salva. Madre alcolizzata (Kirsten Dunst) cognato psicopatico (Cumberbatch), inquietante figlio adolescente (Kodi Smit-McPhee). The Power of the Dog non manca di scene madri, ha momenti di gran cinema. Fatica nei raccordi, in cui l’autrice non riesce a trasformare le lunghe attese nella elegia poetica di altri suoi lavori.

Più che altro, qui si tratta di noia. Il collezionista di carte (da oggi nelle sale) è Oscar Isaac. Lo ha voluto il regista Paul Schrader, mito della New Hollywood dei Settanta. Volutamente, il suo ultimo film profuma un po’ di quel decennio. Un thriller, curioso ma altalenante, che alterna al tavolo verde dei casinò, i terrificanti ricordi delle torture di Guantanamo e Abu Ghraib. Sottotraccia, un costante desiderio di vendetta, che stenta a essere consumata. Oggi la gara dice due titoli al femminile. C’è Spencer del cileno Pablo Larrain, con l’americana Kristen Stewart bionda e british, per gli ultimi giorni a palazzo di Lady Diana. Quando, tra i tormenti, la principessa decide di divorziare. Parte in seconda fila, ma sarebbe bello ricevere sorprese da The Lost Daughter.

L’attrice Maggie Gyllenhaal esordisce alla regia, traducendo La figlia oscura di Elena Ferrante. Protagoniste, Dakota Johnson e (a proposito di casa reale inglese) la sovrana di The Crown, Olivia Colman. Flash puntati oggi su Dune di Denis Villeneuve che, fuori concorso, animerà il tappeto rosso con il suo cast all star. Dopo avere incantato il presidente Mattarella, Roberto Benigni ieri ha intrattenuto il pubblico con la sua Masterclass. Più sobria e cinefila, rispetto alla cerimonia di premiazione con il Leone alla carriera. Benigni cita Chaplin (“quando da ragazzo vidi La febbre dell’oro, uscii dalla sala muto”) e Fellini (“miracolo della natura”). Sulla sua lontananza dal grande schermo come regista (non gira dal 2005: La tigre e la neve), ammette: «A volte cerco di essere creativo come una volta. Ma come ricomincio, mi fermo. Il tempo va assecondato».