Sarà una storia scritta splendidamente e con lo stile inconfondibile del regista, ha detto il capo dei film di Netflix Scott Stuber. E non è un commento isolato a poche ore dall’annuncio, dopo mesi di indiscrezioni, che ha generato entusiasmo e curiosità: Paolo Sorrentino tornerà a girare a Napoli, la sua città. Un film più intimo, come ha rivelato, che avrà a che fare anche con Diego Armando Maradona. Al campione argentino – calciatore, che al Napoli ha vinto due scudetti e una Coppa Uefa – fa riferimento infatti il titolo: È stata la mano di Dio, da come Maradona definì il suo gol con la mano all’Inghilterra al mondiale del 1986. “Mano de Dios” perché punizione ai britannici dopo la sanguinosa guerra delle Malvinas – nella stessa partita l’attaccante segnò anche quello che venne definito “il gol del secolo”. Sorrentino ha dedicato – insieme alla famiglia, a Federico Fellini, ai Talking Heads, a Martin Scorsese – a Maradona l’Oscar vinto con La Grande Bellezza nel 2014. Perché al fuoriclasse cresciuto a Villa Fiorito a Buenos Aires il regista deve la stessa vita. Letteralmente.

L’aneddoto lo ha raccontato lo stesso Sorrentino al giornalista del Corriere della Sera Aldo Cazzullo. “A me Maradona ha salvato la vita. Da due anni chiedevo a mio padre di poter seguire il Napoli in trasferta, anziché passare il week end in montagna, nella casetta di famiglia a Roccaraso; ma mi rispondeva sempre che ero troppo piccolo. Quella volta finalmente mi aveva dato il permesso di partire: Empoli-Napoli”. Il giorno dopo Sorrentino torna nella nella casa di città quando all’improvviso squilla il citofono. Il futuro regista pensa sia l’amico passato a prenderlo ma era il portiere. “Mi avvertì che era successo un incidente… papà e mamma erano morti nel sonno. Per colpa di una stufa. Avvelenati dal monossido di carbonio“.

Era il 1987. Sull’episodio – che ha cambiato la sua vita e la sua personalità (“non sono stato più quel che ero. E quel che sono diventato quel giorno, a 16 anni, è quel che sono stato fino a poco tempo fa”) – Sorrentino è tornato a parlare – senza parlarne – nel numero di Vanity Fair Italia del 20 maggio; un’edizione speciale diretta da lui stesso. “Avevo sedici anni e fu una tragedia indescrivibile. Le parole che conosco non sono adatte. Mi perdonerà se glisso. Servirebbero le immagini, la disinibizione e il coraggio. Servirebbe un film. La spavalderia di cui parlavo prima finora ha incontrato un limite in merito a questi eventi così personali. Ma non è detto che, nei prossimi anni, non vinca il pudore e racconti di questo”.

E può darsi che sia proprio È stato la mano di Dio l’occasione per raccontare qualcosa di più riservato, come commentato dallo stesso regista subito dopo l’annuncio. “Sono emozionato all’idea di tornare a girare a Napoli – ha detto – è, per la prima volta nella mia carriera, un film intimo e personale, un romanzo di formazione allegro e doloroso. Sono felice di condividere questa avventura col produttore Lorenzo Mieli, la sua The Apartment e Netflix. La sintonia con Teresa Moneo, David Kosse e Scott Stuber – di Netflix, sul significato di questo film, è stata immediata e folgorante. Mi hanno fatto sentire a casa, una condizione ideale, perché questo film, per me, significa esattamente questo: tornare a casa”.

Antonio Lamorte

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