Il festival in presa diretta
Palma d’onore a Cannes per Marco Bellocchio: “Così mio fratello scelse la morte”

Oggi al Festival di Cannes, giunto quasi a conclusione della sua insolita 74esima edizione è la giornata dedicata a un maestro del nostro cinema, Marco Bellocchio, onorato con un premio che il Festival consegna raramente: la Palma d’onore. A consacrare questo riconoscimento, l’uscita in Italia ieri 15 luglio e lo special screening a Cannes di Marx Può aspettare, ultima opera del regista che partendo dall’idea di una riunione di famiglia da documentare, diventa film su Camillo, il suo gemello, scomparso suicida a soli 28 anni.
In un incontro a cuore aperto come questo suo film, il più personale e senza filtri della sua carriera, Marco Bellocchio si offre artisticamente ed emotivamente e ci accompagna lungo il percorso fatto con il film e per il film a partire dalla sua genesi: «Avevamo organizzato questo pranzo con i parenti al circolo di Piacenza con l’idea di fare un film sulla mia famiglia, ma capii subito che non volevo fare qualcosa di nostalgico e di generico su ciò che restava della mia famiglia e abbiamo individuato subito il mio protagonista, l’assente, il mio gemello Camillo», dichiara il maestro. Marx può aspettare è un film che indaga nel privato del regista de I pugni in tasca e mostra in maniera fluida, dolorosa e anche leggera, quanto il percorso cinematografico di Bellocchio sia stato costellato di tentativi di elaborare quanto accaduto all’interno della sua famiglia.
A parlare di Camillo, il regista ci aveva provato varie volte: «Nella mia vita ci sono stati una serie di avvicinamenti a questa storia, in particolare in Gli occhi e la bocca ma di quel film non sono mai stato contento perché mi sono reso conto che il fatto che fossero ancora vivi mia madre e il mio impegno politico erano presenze che mi condizionavano, mi impedivano di dire tutta la verità». «Con Marx può aspettare – conclude – mi sono sentito leggero e libero e qualcuno ha notato che è anche un film spiritoso». Considerando la Palma d’Onore di questa sera, celebrazione di una carriera che è impossibile non ripercorrere nei suoi continui memorabili successi, i frammenti di cinema del Maestro contenuti in Marx può aspettare, ci permettono di guardare ai suoi film in maniera più empatica e viscerale: «Al montaggio, la memoria ci ha fatto collocare una serie di frammenti dei miei film mostrandoci che questa tragedia aveva percorso tutta la mia vita e mi sono reso conto che i suicidi sono frequenti nei miei film, se pensiamo a Salto nel vuoto, al regista sfigato in Il Regista di matrimoni e anche a Gli Occhi la bocca dove c’è l’attore che pronuncia già la frase Marx può aspettare».
Il nuovo lavoro di Bellocchio è racconto universale sul dolore, sui modi diversi con cui si può elaborare il lutto ed è anche racconto di formazione di un ragazzo, Camillo, che cercava il suo posto nel mondo e non è riuscito a trovarlo, «come certi eroi romantici che si suicidano». Come in un mea culpa per cui non cerca assoluzione, Bellocchio racconta come la sua famiglia ha sottovalutato la disperazione di Camillo, la sua ricerca senza meta: «È in un certo senso il mio film più privato – dichiara – nel quale mi sono sentito molto libero, anche liberato ma non assolto. È qualcosa di molto comune il fatto che di fronte a certe tragedie (lo si vede spesso anche in TV) si dica: non avevo capito. Noi non avevamo intuito la tragedia che stava sotto la vicenda normale di nostro fratello. Questo è un po’ uno dei centri del film».
A proposito di non capire, senza indulgenza, Marco Bellocchio rivela l’esistenza di una lettera di disagio e aiuto di cui aveva quasi dimenticato la presenza, scritta da Camillo a lui , il suo gemello. Confessione dal regista sottovalutata e dismessa: «Io l’ho trascurata, voi la chiamate distrazione, io la chiamo assenza la mia. Non posso difendermi dietro il fatto che che avevo i miei problemi da risolvere». È un po’ questa consapevolezza del maestro, del comportamento suo e della famiglia nei confronti del malessere di Camillo che ha portato alla sostituzione del titolo e dello stile del film, da L’urlo a Marx può aspettare, frase quest’ultima detta proprio dal nostro protagonista in una chiacchierata dove confessava al suo gemello Marco, il disagio del sentirsi fuori posto in quel periodo. Bellocchio ricostruisce così la conversazione inserita anche in uno dei suoi film: «Il riscatto e la redenzione della tua infelicità sta nella lotta rivoluzionaria, questo fu in sostanza quello che gli dissi. Lui mi rispose ‘Marx può aspettare!’ come a dire: la politica dopo, prima devo risolvere le cose mie che nessuno mi ha aiutato a risolvere».
Come conseguenza inevitabile del descrivere ed analizzare un film che è nato per preservare ricordi che altrimenti sarebbero andati perduti con la scomparsa di membri della famiglia, arriva la richiesta al maestro Marco Bellocchio di una sua personale riflessione sulla morte: «Qui tanti amici non ci sono più, tanti coetanei, però noi continuiamo a lavorare e questo non è che modifica il mio rapporto con la morte, non credo all’eternità. C’è sempre una sottile angoscia rispetto a questa conclusione che però varia a seconda di quello che fai: adesso dobbiamo portare a termine una faticosissima serie, poi faremo un film, se sei dentro la vita e il tuo lavoro, per fortuna ti dimentichi del fatto che esiste anche questa possibilità», confessa esorcizzando un po’ tutta la discussione.
Infine l’attenzione va alla giornata di oggi, di celebrazioni, di Palma d’Onore consegnata dalle mani del direttore artistico Thierry Fremaux davanti a una sala gremita di cinefili, e professionisti del cinema e con la proiezione di un film così privato e personale: «Questo film e il riconoscimento sono due cose unite ma anche molto separate», sottolinea Bellocchio «perché Fremaux è stato estremamente generoso, ha visto il film, l’ha ammirato. Ma io palpito non tanto per la premiazione – quella sarà faticosa perché non è nelle mie corde – ma per la proiezione del film dove ci sarà un pubblico internazionale. Quella è un’esperienza a cui parteciperò sentendomi anche più giovane perché è inimmaginabile portare a Cannes un film piccolo che è nato per noi. Sulla Palma poi aggiunge: «Della Palma sono contento. Non la considero assolutamente un premio che mi ripaga però: qui io ho avuto sempre grandi soddisfazioni. Stasera ricorderò senz’altro il grande Michel Piccoli che ottenne la doppia Palma per Salto nel vuoto».
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