Dove eravamo rimasti, lo ricordiamo tutti bene. 2019, a maggio. Il mese delle rose e del Festival di Cannes. La Palma d’oro a Parasite di Bong Joon-ho, destinato oltreoceano a un successo da Oscar. In pochi l’avevano predetto. Poi, il buio. Nessuno l’avrebbe detto. Luglio 2021, quattordici mesi e una pandemia (ancora in corso) dopo, il gigantesco carillon sul lungomare riaccende le luci a festa e riprende a suonare. Vorrebbe (vorremmo) che la musica continuasse a essere la stessa di prima, malgrado il drastico cambio di partitura. Se Cannes riuscirà a ristabilire la normalità — o una sua parvenza — lo sapremo sabato 17. Alla resa dei conti dell’edizione numero 74, aperta ieri da Annette dell’alternativo francese Leos Carax.

Per il momento, qualcosa già si può dire. Il solito: personale molto giovane, che con gentilezza passa informazioni spesso divergenti (tipico delle prime ore. In genere, poi migliora); voci e facce internazionali, in arrivo dal mondo; lamentele per il caldo, come per l’aria condizionata; il mare della Costa Azzurra. Le novità: mascherine obbligatorie dentro il Palais des Festivals, malgrado qualcuno faccia il furbo; controllo del Green pass, documento fondamentale; centro tamponi in loco, per ovviare alla mancanza del Green pass-e-partout; prenotazione obbligatoria dei posti in sala, per scongiurare file e assembramenti, che non mancano a nessuno. Peccato però, la biglietteria online fatichi a reggere il carico di accessi. Mettersi in coda all’alba, dava più garanzie di visione.

E da vedere c’è tanto. Oltre ad Annette, con la divina coppia di genitori Marion Cotillard-Adam Driver, alle prese con la “magica” bimba del titolo, oggi il concorso prosegue proprio come te lo aspetteresti. Due titoli forti ma non fortissimi, per mantenere alta l’aspettativa sui grossi nomi in arrivo (Moretti, Sean Penn, Paul Verhoeven nel weekend; Wes Anderson e Asghar Farhadi la settimana prossima). L’israeliano Ahed’s Knee di Nadav Lapid (sui tormenti di un regista, tra cinema e privato) e Tout s’est bien passé (fine vita nel rapporto padre-figlia) del prolifico Francois Ozon, idolo di casa.

La casa, appunto. È una delle linee guida di Thierry Fremaux, delegato generale del Festival. La Selezione Ufficiale sembra la nazionale di Deschamps che, uscita dall’Europeo, si è trasferita sulla Croisette. Nel solo concorso, i film francesi sono sette. Fra loro, a rimarcare l’appartenenza, c’è France di Bruno Dumont (e pure lo statunitense The French Dispatch di Anderson, chiama Francia già nel titolo). Il cinema è senza nazionalismi. Conta solo la qualità. E a bocce quasi ferme, sarebbe ingiusto metterla in discussione. Certo, quattro artisti francesi su nove, seduti nella Giuria presieduta da Spike Lee, chiamano premi al cinema d’oltralpe. E les Italiens? Da decenni, al Festival si chiamano Marco Bellocchio e Nanni Moretti. Il primo è in procinto di ricevere la Palma d’onore alla carriera e presentare il suo Marx può aspettare. Il secondo, unico italiano in concorso, ritenta con Tre piani l’assalto alla Palma d’oro, un ventennio dopo il trionfo di La stanza del figlio. Ma la nostra compagine è comunque nutrita, anche a margine dei senatori. Tra la Quinzaine, diretta dal bresciano Paolo Moretti, e la Semaine de la Critique sventolano il tricolore cinque film, da scoprire strada facendo. Surplus di attesa per A Chiara di Jonas Carpignano e per Futura, inchiesta a sei mani di Pietro Marcello, Francesco Munzi e Alice Rohrwacher.

Sinossi in mano, le tematiche più ricercate sono piuttosto classiche. La genitorialità (Carax, Moretti, Ozon, The Flag di Penn ...), il metacinema (Bergman Island di Mia Hansen-Love, Lapid …), la cronaca (emancipazione femminile, nel marocchino Casablanca Beasts, i gilet gialli per La Fracture della Corsini). Il cinefilo ottimista confida in varianti registiche, sui temi proposti. L’uomo pessimista teme le varianti del virus. Cannes è piena di prudenti cinefili. Mascherati e con la voglia di ripartire.