Ecco il Napule è di Paolo Sorrentino. La lettera di amore e ricordo, che il grande regista scrive alla sua città. In È stata la mano di Dio, questa necessità affettiva risulta palpabile, come in nessun altro film di un autore ambizioso e girovago. La Roma di Il divo e La grande bellezza, gli Stati Uniti di This Must Be the Place, la Sardegna di Loro, la Svizzera di Le conseguenze dell’amore e Youth. Tocca tornare indietro vent’anni, alla folgorante opera prima L’uomo in più, per ritrovare un Sorrentino ambientato in città natia. Ma qui è tutto diverso. Napoli è ovunque, nella geografia come nel quotidiano e nelle tradizioni. Negli attori. Toni Servillo, Luisa Ranieri, Teresa Saponangelo. E l’elenco, di interpreti di gran classe, potrebbe essere più lungo. Lungo è un film di oltre due ore, visto al Lido tra gli applausi convinti di pubblico, critica e addetti ai lavori.

Il minutaggio è sufficiente a Sorrentino, per raccontare sotto le mentite spoglie dell’adolescente Fabietto Schisa, fondamentali pagine autobiografiche. Il regista ha drammaticamente perso i genitori da ragazzo. Più volte lo ha raccontato. Ora ha deciso di metterlo a imperitura memoria, per immagini. «A un certo punto si fanno bilanci. A cinquant’anni compiuti, credo di avere l’età giusta per realizzare un film così personale — dice Sorrentino —. Ho pensato che il dolore provato da ragazzo, potesse avere forma di cinema. Questo, indipendentemente dai miei bisogni». Verissimo. Perché È stata la mano di Dio rifugge con successo le trappole più comuni dell’autobiografia: psicanalisi, autoreferenzialità e movimento centripeto-ombelicale.

L’affetto a piene mani è sincero, sufficiente a far si che lo spettatore ricambi la carezza, con un applauso. Teresa Saponangelo interpreta la madre. «Da parte di Paolo — confida l’attrice — affidarmi questo personaggio è stata una dimostrazione di affetto nei miei confronti. Un sentimento cresciuto durante la lavorazione». Ricorda Toni Servillo, il padre nel film: «Quando nel 2001 portammo qui a Venezia L’uomo in più (nella sezione collaterale, Cinema del Presente), Paolo mi confidò che prima o poi avrebbe trovato la distanza giusta per raccontare questa storia. E mi avrebbe chiesto di fare suo padre». Sono passati due decenni e altri cinque film insieme. Attendere è valsa la pena. Per quanto si è visto sin qui. E per È stata la mano di Dio. Il cui titolo svela anche un altro destinatario della passione totale, che alimenta il giovane protagonista Fabietto, futuro regista Paolo: Diego Maradona.

«Una frase bellissima e paradossale, pronunciata da un giocatore di calcio — spiega il regista —. Io credo nel potere semi divino di Maradona». Che, scomparso lo scorso novembre («si chiama lutto. Sono incapace di esprimerlo a parole») non ha fatto in tempo a vedere il film. «È il mio grande rammarico. Mostrarglielo era un mio desiderio. Ma non è mai stato facile parlare con Diego». Cui non attribuisce le passate polemiche, riguardo un presunto sfruttamento di immagine del campione: «Credo, anche se non ho prove a riguardo, che fossero lamentele da attribuire al suo entourage». È stata la mano di Dio è un film uguale (la mano, quella del regista, è riconoscibile) e diverso. «Doveva essere differente dai miei precedenti. Semplice e essenziale, per fare parlare sentimenti e emozioni». Che parlano anche con la voce, gli occhi, il corpo del protagonista Filippo Scotti. «Cercavo un attore ovviamente bravo — spiega Sorrentino —. I registi sognano sempre che i loro interpreti si dirigano da soli, per potersi dedicare ad altro. Filippo ha sbaragliato la concorrenza. Mi sembrava avesse la stessa mia timidezza, dei miei 17-18 anni. La distanza non è tanta». Il giovane Scotti: per interpretarlo «ho cercato di carpire da Paolo il più possibile. Non mi sono mai sentito in balia delle onde. Quando sul set trovi un cast così, intorno a te si crea una famiglia».

Di cui fa parte anche Luisa Ranieri, la zia Patrizia. «Di lei, nella sceneggiatura c’era già tutto. Era scritta tanto bene, da non chiedere a Paolo se questa zia fosse davvero esistita. Volevo restituirgliela, proprio così». Il regista risponde ora alla sua bravissima (in perfetto equilibrio tragicomico) e bellissima (anche in nude look) attrice. Con ironia: «Avessi avuto una zia come Luisa Ranieri, la mia vita sarebbe stata diversa». I film belli non si sezionano. È molto meglio prima guardarli, dopo ragionarci sopra. È stata la mano di Dio è un film bello che in tanti avranno modo di vedere, ma solo tra un po’ di tempo (a novembre al cinema e poi su Netflix). Ha una natura tripartita. Tre segmenti fra loro in grande armonia. La prima parte famigliare, divertita e conviviale. Il doloroso e commovente nucleo centrale. L’ispirata parabola formativa e di crescita, in chiusura. E il citazionismo (Federico Fellini, C’era una volta in America di Sergio Leone …) stavolta è, anche quello, un atto d’amore. I titoli di coda, su Napule è di Pino Daniele.