I fantasmi sono già qui. Prima che il fine settimana ricopra la Mostra di un velo di terrore, con le annunciate, fantasiose mostruosità di Last Night in Soho di Edgar Wright (oggi, fuori concorso) e il vampiresco Mona Lisa and The Blood Moon di Ana Lily Amirpour (domani in gara), altri e meno attesi ectoplasmi si sono presentati sugli schermi del Lido. Prima il bene augurante “o’ munaciello”, che apre e chiude con il sorriso È stata la mano di Dio di Paolo Sorrentino. Poi, le oscure presenze che spingono Lady Diana Spencer sul baratro della follia.

Con la sfortunata ava Anna Bolena, ad accanirsi sulla psiche della fragile principessa triste. Che per il regista di Spencer, il cileno Pablo Larraín, diventa davvero tristissima. E piuttosto insopportabile. Difetto non secondario di un’opera fra le più attese, notevolissima nella forma (efficaci i movimenti di macchina, che pedinano Diana per i lunghi corridoi), discutibile nel ritratto della protagonista (assoluta: la regina, il principe Carlo, William e Harry bambini, Camilla Parker Bowles sono poco più che figurine), che difficilmente sarebbe piaciuto a Lady D e, con ogni probabilità, a Buckingham Palace verrà detestato. Per casa Windsor, almeno all’apparenza, Spencer potrebbe essere un boccone molto amaro, anche più dei non teneri The Queen e la serie Netflix The Crown.

Il matrimonio con l’erede al trono d’Inghilterra è in crisi da tempo. Con ampia libertà di interpretazione e un po’ di didascalismo, lo sceneggiatore Steven Knight suggerisce cosa sarebbe potuto succedere, durante le vacanze natalizie in famiglia nella tenuta di Sandringham. Punto di non ritorno, verso il divorzio più mediatico degli Anni 90. Diana si nega al rigido protocollo, ha le visioni, esplode in scenate di gelosia per Camilla, mangia e subito dopo corre in bagno a vomitare. Succede anche nella scena — di marcato estetismo — in cui la principessa indossa lo sfarzoso abito bianco della cena di Natale, che presta l’immagine alla locandina del film. Il volto della nobile inglese, icona del Novecento, è la losangelina Kristen Stewart. Detto che — per citarlo ancora, malgrado il sole Benigni sia già tramontato all’orizzonte sulla Laguna — “non le somiglia per niente”, l’attrice è molto brava. E benissimo vestita.

Meglio in Spencer, con cambio d’abito senza fine, che sul tappeto rosso veneziano. Dove è fra i divi più fotografati. A proposito di divismo. Ieri è stato il giorno di Dune di Denis Villeneuve. Filmone di fantascienza, che vanta un cast fra i più incredibili degli ultimi anni. Con strizzata d’occhio (la major Warner ne farà una saga) alle nuove generazioni. Protagonisti i giovani, affermati e affamati di successo, Timothee Chalamet e Zendaya (entrambi molto cool sul tappeto rosso). Hanno qualche anno in più ma una carriera decollata di recente, Oscar Isaac (onnipresente alla Mostra. Già visto in Il collezionista di carte, sarà anche nella serie Scenes from a Marriage) e Rebecca Ferguson. Così, i veterani sono i cinquantenni Josh Brolin e Javier Bardem. Tutti, e per la gioia di tutti, sono sbarcati a Venezia per la prima mondiale del loro kolossal. Ieri si sono riviste le lunghe file, sino a qui anestetizzate dalla prenotazione online dei biglietti.

Telefoni degli spettatori impacchettati durante la proiezione, lunga 155 minuti, con i giornalisti che gradiscono poco la privazione. Qui al Lido gli smartphone sono un arto aggiunto, traboccano di codici fondamentali, dal green pass al numero di posto a sedere. Chi si ferma, e chi smarrisce il cellulare, è perduto. Oggi arriva anche il secondo italiano in concorso, cui si augura lo stesso clamore con cui è stato accolto Sorrentino. Il buco è il documentario del pochissimo prolifico Michelangelo Frammartino, che torna al cinema undici anni dopo Le quattro volte. Raddoppio per Penelope Cruz, dopo l’exploit di Madres Paralelas in apertura di festival.

Stavolta è accanto ad Antonio Banderas, in Competentia Oficial del duo argentino Duprat-Cohn. Domani, per il concorso, il messicano Sundown di Michel Franco (con Charlotte Gainsbourg e Tim Roth) e Illusions perdues di Xavier Giannoli da Honoré de Balzac. Fuori gara invece, altro titolo tricolore. Il carcerario Ariaferma di Leonardo Di Costanzo, con la inedita coppia Silvio Orlando-Toni Servillo e (a Orizzonti) Il paradiso del Pavone di Laura Bispuri, con Alba Rohrwacher e la rediviva Dominique Sanda. La leggendaria interprete, per troppo tempo è stata un fantasma sullo schermo (due film negli ultimi vent’anni). Bentornata.