Il suo nome è leggenda. Vivien Westwood, stilista sempre in controtendenza, ribelle non solo nella moda ma anche nel suo attivismo in difesa dei diritti e dell’ambiente, è morta a Londra: aveva 81 anni. Ha vestito generazioni di ragazzi ribelli come lei, prima con pelle e borchie e poi con corsetti e panier. Ed è con loro che ha parlato di tutte le ingiustizie che secondo lei andavano cancellate: dall’inquinamento alla pena di morte. Lo ha sempre fatto a modo suo, mettendoci la faccia con happening che facevano il giro del mondo. Era malata da tempo ma non aveva mai voluto rivelare la sua malattia. Le sue condizioni erano vertiginosamente precipitate negli ultimi giorni. Chi le è stato vicino ha raccontato che è stata combattiva fino all’ultimo come lo è stata per tutta la vita.

E il suo nome è ancora più leggenda per le sue ultime ore di vita. I media raccontano che ha parlato sino all’ultimo del pianeta e di quello che bisogna fare per salvarlo. È stata la regina indiscussa del Punk. Occhi enormi azzurri e capelli rossi è stata un’icona di moda e stile. Ha vissuto in prima fila in tutti i momenti storici e senza limiti come la sua immaginazione e il suo estro creativo. Avrebbe compiuto 82 anni ad aprile. Era nata nel Derbyshire figlia di operai del tessile, Gordon e Dora Swire, una famiglia delle campagna inglese. Il suo rapporto con i tessuti fu di grande ispirazione. Per lei gli abiti non erano solo capi da indossare ma veri e propri manifesti di ribellione a tutto quello che non va.

Arrivò a Londra a 17 anni per studiare all’università. Ma capì presto che quel canonico modo di imparare la annoiava. Per lei erano molto più stimolanti le passeggiate nella city, conoscere luoghi e persone. A 21 anni sposò Derek Westwood con cui ebbe un figlio. Ma a Londra conobbe un altro personaggio estroverso: Malcom McLaren, il musicista che sarà da lì a poco l’impresario dei Sex Pistols e lei con lui diventerà la più irriverente stilista del Regno Unito. Aprirono insieme una boutique al 430 King’s Road. Ben presto quel piccolo negozio diventò la vetrina della generazione ribelle londinese che poi finì per influenzare tutto il mondo.

Il mondo però non era evidentemente ancora pronto ad accogliere quella rivoluzione della moda: i poliziotti erano sempre in agguato intorno alla piccola bottega. Come quella volta, nel 1974 quando per una collezione piuttosto hard, fatta di abiti di cuoio e magliette di latex, catene e t-shirt porno intervennero a mettere i sigilli. E poi gli scandali come le irriverenze dei Sex Pistols sulla regina Elisabetta nell’immortale immagine della copertina di un loro disco. La regina poi la perdonò conferendole addirittura l’Ordine Britannico.

“L’unico motivo per cui faccio moda è fare pezzi la parola conformismo”, diceva Vivien Westwood. E così dalle futuristiche borchie iniziò a studiare la moda dell’800 sempre come autodidatta e sperimentando come aveva sempre fatto. E così il suo must divennero i corsetti le parrucche, le gonne di crine, i faux cul. Anche questa volta era diventata la regina indiscussa della moda, tanto che è stata celebrata con la più grande mostra per una stilista vivente al Victoria and Albert Museum.

Da Londra si trasferì a Parigi, ebbe anche una cattedra all’università di Vienna. Quando la Regina le conferì una medaglia fece scalpore: alla cerimonia davanti ai fotografi decise di alzarsi la gonna per mostrare che non portava la biancheria intima. Sposò Andreas Kronthaler, suo allievo alla scuola di moda di Vienna, 25 anni più giovane. Lui diventò il suo fidato assistente a cui lasciò la direzione creativa nel 2016.

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Giornalista professionista e videomaker, ha iniziato nel 2006 a scrivere su varie testate nazionali e locali occupandosi di cronaca, cultura e tecnologia. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Orgogliosamente napoletana, si occupa per lo più video e videoreportage. È autrice anche di documentari tra cui “Lo Sfizzicariello – storie di riscatto dal disagio mentale”, menzione speciale al Napoli Film Festival.