Una meditazione che affronta il nodo che dà il nome al titolo
Come gestire le crisi di panico, il libro-guida per allontanare la percezione di morire
L’ultima pubblicazione di Luca Doninelli racconta la sua prima crisi di panico, lo scritto è un viaggio affascinante e consapevole che esplora una sensazione che forse quasi tutti, almeno una volta abbiamo provato. Il libro esige ripetuti ascolti.
«Il panico abolisce lo spirito, riporta tutto al corpo». Già solo per questa frase Panico, ultima pubblicazione di Luca Doninelli per la collana S-Confini sapientemente diretta da Fabrizio Coscia (Editoriale Scientifica), è un libro raro e prezioso. Doninelli inizia questa sua meditazione – un vero e proprio itinerarium (non solo della mente e vedremo se… in Deum) – affrontando il nodo che dà il nome al titolo. Ci racconta infatti il momento e il luogo della sua prima crisi di panico mentre si trova a passeggiare per una via di Milano; cos’ha provato; quanto ha appreso di e da questo tipo di esperienza. Delinea, in specie, una chiave ermeneutica del fenomeno che merita più letture (tutto il libro esige ripetuti ascolti, come succede per le opere più tarde ed enigmatiche del vecchio Beethoven). Perché Doninelli sviluppa un’eziologia dell’attacco di panico puntualmente ancorata al “sentimento di morte” che alberga nel nostro corpo. Che vi alberga non in un senso simbolico o metaforico, ma propriamente fisiologico (sono pagine degne di Teilhard de Chardin).
La crisi di panico è il momento esistenziale in cui la percezione del morire, annidata nel nostro organismo, per così dire latente nel groviglio dei nostri ripiegamenti viscerali, emerge e si fa violenta, inesorabile. L’autore opera un richiamo – da scrittore e cattolico (non da scrittore cattolico, categoria che lui stesso tiene giustamente a rifuggire) – a una frase di San Paolo, letterariamente potente come spesso accade nelle Episole dell’apostolo delle genti: “corpo di morte” «(…) la mia morte è già qui, adesso, in questo istante. È una paura connaturata con il fatto stesso di esistere fisicamente, l’esistenza fisica è paura, il corpo è paura. Non è uno stato emotivo».
La consapevolezza (non solo e non tanto della mortalità del nostro corpo ma, soprattutto) della presenza attuale della morte dentro di noi, nel nostro organismo vitale, dischiude la porta a una serie di racconti, articolati in brevi capitoli ciascuno col proprio titolo, che a prima vista, nonostante il piacere della lettura e la densità del pensiero, disorientano il lettore, stimolandolo però a darsi ragione del perché l’architettura narrativa sia stata strutturata da Doninelli in questo piuttosto che in un altro ordine. Ecco che, dopo il capitolo di apertura sulle crisi di panico, Doninelli racconta le possibilità delle coincidenze (un portentoso non-incontro nella Realtà, seguito da un incontro nella Letteratura – con l’amato Sebald); ci porta nella vita da appartamento degli studenti fuori sede che fittano una camera a Milano nella seconda metà degli anni ’70; pondera la condizione in un tratto del tempo parallela tra padri e figli che diventano padri; tenta di spiegarsi perché canta, da solo e di continuo (e da qui arriva a concludere che «la coscienza è tragica in sé stessa, non è un dato caratteriale ma piuttosto una dimensione antropologica»); mette a fuoco in un modo incalzante la natura di atto politico del suicidio (pagine incandescenti, che andrebbero meditate dai bio-giuristi), per virare verso il porticciolo di una manciata di pagine autobiografiche sincere ed esemplari sul Doninelli giovane penna del Giornale di Montanelli che va passando sotto la direzione di Feltri ed ospita (direttore della pagina culturale il grande Stenio Solinas) una perfida stroncatura del Sostiene Pereira dell’osannato Tabucchi (chiosando il capitoletto con uno struggente, leopardiano richiamo alla possibilità che tra pensatori sorgano amicizie in luogo di conflitti); detta una difficile cronaca dell’invecchiamento.
Fino alla coda di chiusura di questa sonata, che affonda nei ricordi (luminosi) di don Giussani circa la vocazione dell’artista (e la differenza col destino dei santi). Estrema varietas, come si vede, processione apparentemente randomica di racconti ed enunciati. Ma la chiave di volta, il tema portante resta quel corpo di morte paolino da cui l’attacco di panico scaturisce. Il nostro rapporto con la giovinezza (col suo tempo, con la sua perdita), la nostra decisione di toglierci la vita, le nostre scelte (il nostro libero arbitrio: nello scrivere una stroncatura o nel pubblicare in un certo contesto escludendone altri), la nostra libertà di custodire una vocazione (o disperderla, dilapidarla): tutto ha a che fare con quel corpo di morte dal quale Panico prende l’avvio. E che, oggi, resta l’oggetto di una vasta, snaturata rimozione collettiva. Con la naturalezza superiore che discende dall’arte della sprezzatura, Doninelli costruisce quindi un vero itinerario, per la vita e per la letteratura, nella vita e nella letteratura, che – in ciò modernamente in Deum – parte da e arriva all’umile realtà creaturale del tempo assegnato al nostro corpo: «la salvezza non sta in quello che io faccio, ma in qualcosa di cui faccio parte, a cui appartengo».
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