Quando venne eletto sindaco di Bologna, Matteo Lepore annunciò che la ex capitale del comunismo d’Occidente sarebbe divenuta la città “più progressista” d’Italia. Non essendoci al Museo do Sèvres una unità di misura del tasso di progressismo, ci chiedemmo come sarebbe stato possibile verificare l’adempimento della solenne promessa. Lepore ha fatto parlare di sé quando fece cambiare la toponomastica sostituendo la parola “patriota” con “partigiano”. Di nuovo quando l’amministrazione introdusse il limite di velocità di 30 km orari in diverse strade cittadine. In verità in questa circostanza ebbe la fortuna che Matteo Salvini volle occuparsi direttamente della questione, inducendo i cittadini a non fare troppe polemiche per non reggere la coda al capo della Lega e al meloniano bolognese Galeazzo Bignami.

Poi Lepore tornò all’onore e all’onere delle cronache nazionali quando Bologna corse il rischio di veder crollare una delle storiche torri che l’avevano resa riconoscibile nel mondo. Ovviamente non era stata la sua amministrazione a mettere a repentaglio la Garisenda, ma se fosse stato un sindaco di destra nessuno lo avrebbe salvato da almeno gli arresti domiciliari. Ricordo che Sandro Bondi, da ministro della Cultura di Silvio Berlusconi, si beccò una mozione di sfiducia individuale quando a Pompei cadde un cornicione.

Dove stanno, allora, le prove del colpo di reni progressista di Bologna? In verità noi bolognesi ci avevamo già rinunciato, quando all’improvviso da tutti gli schermi televisivi abbiamo visto Matteo Lepore esporre personalmente da un balcone di Palazzo d’Accursio la bandiera palestinese. “Sarà questa la scelta d’avanguardia?”, ci siamo chiesti. E ne abbiamo avuto conferma quando abbiamo saputo che il sindaco di Milano, Beppe Sala, chiederà al Consiglio comunale meneghino l’eventuale autorizzazione a compiere quel gesto che Lepore ha deciso in solitudine – come i grandi condottieri – riuscendo a dormire la notte prima più a lungo del principe di Condè.

Il fatto è che più di un secolo fa, il 21 novembre 1920, lo storico Palazzo fu preso d’assalto dalle squadracce fasciste per sloggiare un Consiglio comunale a maggioranza socialista, che aveva vinto le elezioni. Anzi, quell’episodio è ritenuto dagli storici l’inizio del cosiddetto biennio nero che si concluse con la ‘’marcia su Roma’’ (e dintorni). Questa volta non ci saranno né morti né feriti. Gli inquilini pro tempore – Lepore in testa – di Palazzo d’Accursio si sono espugnati da soli e consegnati ad Hamas.