Rivolta giovanile senza precedenti
Cosa sta succedendo in Nepal, la rivoluzione della Gen Z dopo il bando social: la lotta ai Nepo-kids e alla corruzione
Migliaia di giovani si sono riversati per le strade di Kathmandu contestando il governo e le disuguaglianze sociali esacerbate dalla classe dirigente. Il primo ministro si dimette
Cappellini da baseball, felpe, uniformi scolastiche sgualcite e scarabocchiate. Se ne vedono migliaia sfilare davanti al Mandala Maitighar, simbolo di pace, ma anche teatro di proteste passate. A poco più di un chilometro da lì si staglia imponente il Singha Durbar: il complesso che unisce gli edifici governativi e il Parlamento del Nepal. Nel cuore della capitale Kathmandu è lunedì, quando i giovani nepalesi si riversano nelle strade, in marcia per farsi giustizia. La rivolta parte da loro e le motivazioni sono fin troppo evidenti.
È la “ribellione della Generazione Z”, così la ribattezzano i suoi manifestanti. A legarli non è soltanto la giovane età, ma la sete di cambiamento. Il desiderio di stravolgere un Paese che non ha niente da offrirgli, anzi gli sbatte in faccia la realtà: una società corrotta fino alle ossa con profondi divari economici e sociali. Il Nepal, come sottolineato dall’ultimo rapporto di Oxfam, è tra gli Stati del Sud asiatico con le disuguaglianze economiche più marcate. Qui il 10% più ricco della popolazione guadagna più del triplo di quanto incassa il 40% più povero. Alla disparità di ricchezza si affiancano brogli elettorali, appropriazione indebita, manipolazione delle forze dell’ordine e, come se non bastasse, l’inflazione, che spreme un’economia già fragile.
Il bando social e i Nepo-kids
Il bando di 26 piattaforme social applicato dal governo lo scorso 4 settembre, quindi, sembrava l’ultimo dei problemi. Eppure è stato il pretesto che ha convinto i nepalesi a scendere in strada. Una misura che l’esecutivo aveva giustificato come un’azione di protezione nei confronti della dignità nazionale, censurando così quel mezzo che stava alimentando l’insoddisfazione e il risentimento dei giovani.
A circolare sulle piattaforme erano decine di video che riprendevano figli di politici e benestanti mentre ritornavano da viaggi all’estero e università prestigiose, con vestiti di marca e auto di lusso. Tutto questo mentre, a pochi passi, intere famiglie faticano ad arrivare a fine mese e, in certi casi, non hanno neanche il minimo per sopravvivere.
La popolazione del Nepal ha un’età media di circa 25 anni: i manifestanti sono il presente e il futuro del Paese. E la loro consapevolezza di non avere le stesse possibilità dei loro coetanei privilegiati dallo Stato è insostenibile. Li chiamano “Nepo-kids”: i figli dei potenti, benedetti dal nepotismo che avvelena la società nepalese.
Morti e feriti, il bilancio delle proteste
Negli scontri degli ultimi giorni, Kathmandu viene sconquassata. Oltre 20 morti, centinaia di feriti, con i manifestanti che si armano con quello che trovano. Pietre, mattoni, rifiuti lanciati contro gli edifici del potere e i militari, simboli della corruzione. Il Parlamento viene accerchiato e incendiato, la gente esulta e c’è anche chi si scatta un selfie per immortalare lo storico momento. Lo stesso trattamento è riservato alle case private dei politici, come quella dell’ex primo ministro, Jhala Nath Khanal, che viene data alle fiamme, uccidendo la moglie del vecchio premier. La città è una giungla: il ministro delle Finanze viene spogliato dei suoi vestiti e inseguito in un fiume, tra gli incitamenti della folla. Il popolo festeggia, il governo è sotto pressione e il primo ministro K.P. Sharma Oli, capo del Partito comunista nepalese, decide di dimettersi revocando il bando delle piattaforme social. Il coprifuoco resta in vigore per “limitare i danni”, ma il cambiamento non si può più riavvolgere.
Da quando la nuova costituzione nepalese è entrata in vigore nel 2015, a capo dell’esecutivo si sono avvicendati sempre gli stessi tre politici, tra cui il dimissionario Oli, alla guida del governo per tre volte. Se il Nepal potrà sbarazzarsi di quella classe dirigente anziana e assetata di potere, sarà stato grazie ai giovani: motori del cambiamento. All’incirca un mese fa, in Indonesia, si infiammavano le proteste, guidate dagli studenti contro le forze di polizia, dopo l’uccisione di un conducente di taxi da parte dei militari. Disordini alimentati, anche in questo caso, dalla corruzione dilagante e dalle ingiustizie sociali, che hanno portato il presidente Prabowo al rimpasto di cinque ministri. Dal Sud asiatico il messaggio è chiaro, i giovani hanno ancora il potere di cambiare questo mondo.
© Riproduzione riservata







