Come siamo passati dalla storica trasmissione del maestro ManziNon è mai troppo tardi”, vera e propria scuola che insegnava a leggere e a scrivere, agli influencer che, senza paura di sbagliare un congiuntivo, ci insegnano a cucinare utilizzando i loro codici sconto o ci mostrano le loro case attraverso lunghissimi room tour? La risposta non è né semplice né veloce perché attraversa 75 anni di storia, la nascita e la crescita di internet e dei social network, l’avanzata dei colossi tecnologici, la vittoria del capitalismo e l’intreccio con la politica e il potere. Di tutto questo parla il giornalista Federico Mello nel suo libro Arretriamo nel futuro – breve guida alla merdificazione dei media (e come fermarla), (Edizioni BIT).

Tracciando una linea temporale che dagli anni ‘50 arriva fino a oggi, Mello racconta la storia di una società, la nostra, profondamente provata dalla convivenza con i mass media che, entrati nelle nostre vite come strumento di “servizio pubblico”, sono diventati prima un mezzo politico in grado di orientare milioni di elettori e poi oppio dei popoli, strumento in grado di generare un intrattenimento sterile e ipnotico, molto simile a quello dei casinò. Una “discesa agli inferi” a cui ogni mass media ha contribuito. Tutto ha inizio con l’Auditel, spiega Mello, lo strumento del “like” ante litteram. Nato nel 1986, inizialmente, questo strumento era stato pensato solo per offrire un’indicazione aggiuntiva ai professionisti della tv, ma ben presto tutto si è trasformato: “i programmi non sono più un fine in sé – scrive l’autore – ma un pretesto per catturare l’attenzione degli spettatori a cui mostrare gli spot. Il meccanismo della merdificazione è perfettamente dispiegato”.

Eppure, quando nel 1969, una proto-Rete inizia a prendere vita, chiunque l’ha salutata come uno strumento finalmente orizzontale e democratico, in grado di dare voce a tutti. Le cose poi, racconta Mello, cambiano rapidamente: Facebook in pochi anni impone la logica dei like e diventa il più solido terreno per radicalizzazione e cyberbullismo; Instagram crea il “mestiere” dell’influencer e si trasforma in vetrina per le sponsorizzazioni infinite, imponendo la dittatura dell’immagine ad ogni ambito della nostra vita; TikTok, infine, con i suoi video personalizzati, ci ha allenato a scrollare per ore senza chiederci più neanche il perché.

Alla base di questa inesorabile caduta, due grandi paradigmi. L’engagement, cioè il grado di coinvolgimento che ogni contenuto riesce a generare e la retention, cioè la quantità di tempo che l’utente utilizza per guardare una singola clip, se la guarda più volte, se torna indietro su una sequenza, a che punto interrompe e passa oltre. Il primo, inventato da Facebook nei primi anni ‘10, ha alimentato complottismo e polarizzazione, ha permesso l’ascesa dei partiti sovranisti nel mondo, coinvolgendo una minoranza di utenti più attivi e polemici, più schierati e intemperanti.

Il secondo, che ha preso il posto del primo “è questa particolare forma di coinvolgimento visivo, la retention, appunto, il nuovo potentissimo incantesimo della compulsione social” scrive l’autore. Nucleo originario di tutta questa merdificazione, secondo Mello, non è tanto il profitto in sé, ma una ideologia di mercato che sottomette ogni valutazione al profitto, compresi ambiti “editoriali” fondamentali per la democrazia che condizionano informazione e comunicazione. Ma esiste un rimedio alla società di mercato? Secondo l’autore sì: “Anche se un’alternativa sembra impraticabile adesso “contro una corrente così forte”, l’occasione verrà alla prossima crisi: per quanto dura possa essere, ci sarà comunque bisogno di ricostruire”.