“Di sana pianta”. Si chiama così una associazione di volontariato che da molti anni svolge a Palermo una attività nata per aiutare i bambini non accompagnati che giungono in Sicilia su barconi, ma che poi, col passare degli anni, ha rivolto la sua attenzione anche alle famiglie di immigrati che abitano attorno alla stazione centrale e più di recente alle donne ucraine giunte in città a causa della guerra.

L’anima e il motore di questa attività è Valeria Antinoro, una dipendente pubblica la cui “avventura” iniziò alcuni anni fa quando partecipò ad un corso per “Tutori volontari” organizzato dal Garante per i minori. Fino a quel momento faceva una vita normale: lavoro, famiglia e anche un po’ di attività caritatevole. La molla del suo impegno è stata la storia dei ragazzi incontrati. La loro solitudine l’ha interrogata profondamente. Come racconta spesso, all’inizio “mi sembrava una semplice attività di volontariato, un compito piuttosto facile, ma quando ho incrociato la sguardo del primo bambino le cose sono ben presto mutate”.

Era un ragazzo di 7 anni, in Italia da 4, proveniente dalla Costa d’Avorio, “particolarmente vivace”, come si suol dire. Le sue difficoltà derivavano dal fatto che la gran parte di coloro che erano imbarcati sul barcone con cui era giunto in Sicilia erano morti. Quindi questa vicenda l’aveva traumatizzato. Il primo impegno è stato farlo uscire il più possibile dalla comunità in cui era ospitato e poi iscriverlo in un corso di nuoto per fargli superare il trauma del mare. Quando il rapporto è divenuto più familiare ha chiesto: “Ma perché tutti i bambini hanno un papà e una mamma e io no”? Dopo circa un anno e mezzo, grazie all’impegno dell’Associazione e dei Servizi sociali, è stata trovata una famiglia disponibile. Adesso, dopo un periodo di affido, è stato adottato e – ironia della sorte – abita in un’isola, precisamente ad Ustica. È la mascotte degli abitanti anche perché è l’unico bambino di colore ed è conosciuto e amato da tutta la comunità isolana. È rimasto vivace com’era e si è inserito perfettamente nella piccola comunità locale.

L’associazione si regge sulla grande disponibilità degli associati, ma intrattiene rapporti con l’amministrazione comunale, grazie alla quale ha avuto affidato un bene sequestrato alla mafia ove risiedono in questo momento una famiglia di tre componenti, una mamma Ucraina con due bambini che vanno a scuola, 4 ragazzi che sono usciti dalle comunità di accoglienza, e che continuiamo a seguire come mentori. Hanno tutti fatto un percorso scolastico e possiedono un titolo di studio. È una convivenza multi etnica, multi lingue e multi alimentare, ma alla fine si capiscono tutti e si aiutano fra loro.

Vi è poi un’altra vicenda, quella di un bambino giunto circa 4 anni fa su un barcone dal Nord Africa. Forse aveva appena un anno. Non era accompagnato e nessuno sapeva chi fosse. A Valeria fu dato dal Tribunale il compito di seguirlo. Dopo alcuni giorni le assistenti sociali della casa di accoglienza in cui si trovava, le riferirono che in una tasca del vestitino gli era stato trovato un numero di telefono. A quel numero, che era della Tunisia, rispose una donna. Tra un francese approssimativo e molti pianti le rivelò di essere la sua mamma e di essere ormai convinta che il bambino fosse morto. Sono stati necessari due anni per portare a Palermo la famiglia. L’Associazione ha pagato il viaggio, ha trovato una sistemazione provvisoria. Quando i genitori sono giunti il bambino parlava italiano ed aveva difficoltà a capirli. A quel punto si chiarì il mistero sul suo viaggio. Al momento dell’imbarco era scoppiato un conflitto a fuoco con la Polizia locale, con conseguente fuggifuggi generale. Il barcone tuttavia partì ugualmente, con il bambino a bordo. Adesso la famiglia vive a Palermo, in attesa di trovare un piccolo appartamento dove iniziare una vita familiare autonoma.

La distribuzione delle derrate alimentari che provengono dal Banco Alimentare e che mensilmente l’associazione organizza per le famiglie del quartiere è un altro momento di grande convivialità e fraternità. Quando accade si nota subito un’aria diversa. Nessuna fretta. Nessun tentativo di passare avanti, molta voglia di parlare: si vede che si conoscono da tempo e che quello è un luogo e un momento abituale di incontro. Ed infatti dopo che ciascuno ha preso il proprio sacchetto, nessuno va via. Tutte hanno qualcosa da chiedere e raccontare. Ovviamente Valeria è circondata, quasi assalita. Tutte hanno bisogno di qualcosa in più, non di cibo, ma quasi sempre di parlare e di essere ascoltate.

L’associazione cura i rapporti anche con circa 40 donne ucraine. Dopo la prima fase di grande generosità delle famiglie palermitane adesso trovare una stabile sistemazione per loro è sempre più difficile. Quindi l’Associazione se ne è fatta carico. Ovviamente sono tutte sole con bambini, e molte disperano di poter tornare in patria, anche perché sanno che le loro case e le loro città sono state distrutte.

Sul sito dell’associazione si legge: “Oggi, a distanza di anni, guardiamo orgogliosi i nostri ragazzi che, dopo avere affrontato tante difficoltà, superato momenti di sconforto e struggente nostalgia, con il nostro sostegno stanno realizzando passo dopo passo i loro sogni”.
Queste storie lo testimoniamo, come quelle che ancora dovranno essere raccontate.

Francesco Inguanti

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