"Non c’è più tempo”
Perché la transizione ecologica dovrà essere graduale e gli appelli al “fate presto” sono solo terrorizzanti

I più accesi sostenitori della transizione green non hanno generalmente in grande simpatia la gradualità. A confermarlo, da un lato, la autentica mostra delle atrocità esibita sulle prime pagine di molti quotidiani – con titoli strillati ed escatologici – e dall’altro richieste politiche di accelerazione per la agenda green. L’ex Presidente della Corte Costituzionale, Giuliano Amato, intervistato sulle pagine di Repubblica si unisce al coro e dichiara: “Non c’è più tempo per una transizione ecologica graduale”.
La facilità con cui si richiedono drastici mutamenti di paradigma, non solo produttivi, economici, giuridici ma vitali, andando quindi a incidere nel profondo di comportamenti, abitudini, stili di vita, spesso si scontra con la realtà dei fatti. E la realtà dei fatti ci dice che nessuna transizione può essere unilaterale, non può cioè essere fatta gravare soltanto sulle spalle di cittadini, di alcuni settori produttivi e via dicendo. Le ricadute sociali ed economiche di una agenda così impattante, radicale, impegnativa non possono essere allontanate con gesto infastidito o non possono essere espunte dal dibattito semplicemente perché “non c’è più tempo”.
L’evocazione di toni ultimativi e terrorizzanti è spesso comodo mantra per elidere la contro-argomentazione che stiamo rilevando e lasciar così intendere che la gradualità sarebbe una sorta di intelligenza col nemico. D’altronde, lo stesso Amato poco più oltre nella stessa intervista si lancia in un ardito paragone che non sarebbe dispiaciuto probabilmente a Bruno Latour e che nei fatti umanizza il disastro climatico, rendendolo affine all’esperienza storica del terrorismo politico.
“Perché il terrorismo del clima non si sconfigge senza una voce politica uniforme. Cinquant’anni fa abbiamo battuto il terrorismo solo con la concordia tra forze politiche diverse, legate da una comune matrice democratica”, afferma Amato.
Il paragone è oggettivamente azzardato, ma sensazionalisticamente parlando efficace perché lascia intendere una minaccia non solo gravissima e attuale ma che può essere superata e sconfitta solo con una mobilitazione totale del corpo sociale, in una “concordia” che si traduce in principio di obbedienza declinato fino alle sue estreme conseguenze. D’altronde gli anni della lotta al terrorismo furono anni di eccezionalità, con istituti giuridici, politiche pubbliche, decisioni e scelte spesso assai esorbitanti dall’usuale perimetro delle garanzie e della libertà.
Perseguire una scelta radicale e immediata di transizione significa non avere riguardo per le ricadute occupazionali, per le linee produttive più direttamente colpite, per i diritti dei cittadini che in moltissimi casi subiranno costi e limitazioni esorbitanti. Non a caso uno degli aspetti salienti per ottenere la mitigazione del costo sociale di determinate misure è la riconversione delle strutture produttive, si pensi ai settori automobilistico e aeronautico.
Oltre questo, la realizzazione di efficienti sistemi di trasporto pubblico per garantire il diritto alla mobilità, e in ambito lavorativo specializzazione e riqualificazione del personale, al fine di non lasciare nessuno indietro.
Stanti le asimmetrie esistenti tra Paesi e tra i vari sistemi produttivi, una accelerazione estrema di questo processo di transizione significherebbe condannare all’immiserimento varie fasce di popolazione e alcuni Paesi. Senza la gradualità in questi vari passaggi il rischio, estremamente plausibile, è quello di replicare quanto ad esempio avvenuto nella Rust Belt americana, quella vasta fascia degli Stati Uniti corrispondente per lungo tempo al motore industriale degli States e poi rifluita a cintura della ruggine – un gorgo di miseria e di povertà, di capannoni ingrigiti e frantumati – a causa della esplosione dell’economia dematerializzata e dei processi automatizzati di produzione. La classe “blue collar”, senza riqualificazione, senza specializzazione, senza alterative lavorative finì nella polvere e nella ruggine. Una lezione da tenere a mente.
© Riproduzione riservata