Vinicio Capossela appariva all’improvviso. A una sagra, una festa in piazza, a una cumversazione. E quando capitava, e si sapeva e si diceva che era al paese, si andava, si partiva pure dai paesi vicino, che magari prendeva e suonava, cantava qualcosa. Dalla fine degli anni Novanta il cantautore ha cominciato a tornare, ogni anno, alla terra dei padri. Lui nato ad Hannover, cresciuto in Emilia, figlio di padre calitrano e di madre andrettana. Ritorni omerici, a ritrovare l’epica, il nostos, che sono diventati un appuntamento fisso: lo SponzFest quest’anno è alla decima edizione, si terrà dal 21 al 27 agosto tra Calitri e altri piccoli comuni dell’Alta Irpinia, al centro il rapporto tra coltura e cultura.

Dieci anni di canti e balli, laboratori, rappresentazioni e mostre, incontri, notti insonni e albe selvatiche. E di camicie zuppe di sudore per il ballo, perfino le magliette sguazzate di vino, girotondi infiniti di quadriglie “batti culo” e tarantelle, saloni di barberia con musici e cantanti, di cannazze al sugo e baccalà. Di paesani in fermento, volontari a tornare ogni anno puntuali anche dal nord, piazze e spiazzi into the wild ripopolati e attrezzati apposta. Dieci anni a ri-crearsi, come si dice lì: a divertirsi allo sfinimento, a svagarsi spudoratamente. Quando ha suonato al Vallone Cupo, Angelo Branduardi disse che l’atmosfera gli ricordava quella del festival del Re nudo.

Neanche l’emergenza covid ha fermato lo Sponz: l’edizione del 2020 fu itinerante, dedicata alle vie dell’acqua dalla Valle dell’Ofanto alla foce del Sele. La prima, quella del 2013, consacrata allo sposalizio: i matrimoni di una volta, feste per “sponzare”, spugnarsi, mettersi all’ammollo come il baccalà nell’acqua, la braciola nel sugo, gli invitati nel vino. Capoluogo del Fest è sempre stato Calitri. Dove Capossela ha recuperato la Banda della Posta, una vecchia comitiva di musici di fox trot, mazurche e luquaré con l’aria da pistoleri. E ne ha prodotto un album, Primo Ballo, come Ry Cooder con il Buena Vista Social Club. Personaggi consegnati anche alla letteratura con Il Paese dei Coppoloni (finalista al Premio Strega).

L’edizione del 2014 ha riaperto la linea Avellino-Rocchetta, via ferrata dell’emigrazione. Calitri a metà novecento sfiorava i novemila abitanti. È stato un punto di riferimento per l’artigianato, certe aziende, le scuole superiori. Al 2013 i residenti erano 4810, oggi sono 4316 (dati del Comune). E nei paesi attorno va anche peggio.

A crescere, invece, le attività commerciali, una trentina in più, 274 (dati dell’ufficio tecnico). Ad aumentare quelle nel comparto ristorazione ed enogastronomia – avrà avuto il suo ruolo anche lo Sponz, che ha reso familiare il nome di Calitri anche molto lontano? Al paese, nelle settimane del Festival, spesso anche gli alberghi nei paesi vicini sono sold out, perfino i “suttan” (i bassi nel centro storico) affittati. Coppiette, avventurieri solitari e comitive arrivano a rincorrere il folk, i ritornelli di Chavela Vargas, le fanfare slave, quei vecchi simposi da cantina chiamati cumversazioni. Ad ascoltare Goffredi Fofi, Domenico Quirico, Gianni Mura, Carlo Ginzburg. Difficilmente sarebbe passato da queste parti Micah P. Hinson, mai i Tinariwen, Marc Ribot a suonare Bella Ciao. Sarà arduo per chiunque c’era vivere una serata più nazionalpopolare di quella al campo sportivo con Gianni Morandi.

Tutt’altro che perfetto: spesso poco organizzato, a volte improvvisato, una disinvoltura che è tratto somatico di questa Woodstock delle Terre dell’Osso. Non mancano i paesani a criticare, a lamentarsi degli “ubriaconi” come se l’alcol da queste parti non scorra, e senza grazia, tutti i giorni e negli inverni infiniti. E del Fest che non abbia fatto, non faccia abbastanza per il posto, le attività. Risorse gestite male, dicono. È inevitabile, e anche vitale: al paese un’opposizione ci vuole, sempre, e soprattutto in questi tempi di disarmo.

Lo Sponz però ha intanto rispolverato un calderone di tradizioni e usanze, ne ha fatto attrazione ed evento, riabitato angoli depressi di paesi sempre più abbandonati, concesso a posti fuori dalle rotte di mostrare la propria accoglienza, di essere belli e non per forza dolenti. Da un anno all’altro, per le critiche e le difficoltà, il Fest ha vacillato: “questo è l’ultimo”, “il prossimo non è sicuro che si farà” si spettegolava, si sentiva dire spesso. E invece eccolo, dieci anni dopo. Se polvere dovrà tornare a essere, lui con questi paesi, almeno sarà polvere da sparo.

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Giornalista professionista. Ha frequentato studiato e si è laureato in lingue. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Ha collaborato con l’agenzia di stampa AdnKronos. Ha scritto di sport, cultura, spettacoli.