La miniserie che racconta il rapimento Moro
“Esterno notte” è un grande film, lo sguardo di Bellocchio resta unico
Il primo motivo per cui non si può non stare dalla parte di Marco Bellocchio e del suo Esterno notte è che la puntata di lunedì (giovedì è prevista la terza e ultima messa in onda) è stata trasmessa in contemporanea al Grande fratello vip. Da una parte il grande cinema, i grandi attori, dall’altra il nulla assoluto, il vuoto che come un buco nero tutto assorbe lasciando lo spettatore privo di qualsiasi emozione. E nonostante la sfida impari, Bellocchio è riuscito a portare a casa uno share del 18.6% (per un pubblico di 3.307.000 spettatori) mentre il reality di Canale 5 ha totalizzato il 21.9%. Un risultato più che buono per una produzione che porta la Storia in prima serata: non le solite fiction stereotipate e fatte con il bilancino per soddisfare i gusti della famiglia che la sera guarda la tv (un po’ di teen, un po’ di amore, un po’ di suspense). Non è detto che Esterno notte riesca a tenere questi numeri, il primo giorno c’è stato l’effetto evento a fare da traino. Comunque vadano gli ascolti è un film d’autore, è un’opera che può non piacere ma a cui è impossibile non riconoscere la grandiosità dello sguardo, la capacità del regista di entrare nell’animo dei protagonisti, di avere una sua visione per quanto non sempre realistica o puntuale dal punto di vista storico.
Marco Bellocchio aveva già raccontato il rapimento Moro in Buongiorno, notte. Il rapporto con i rapitori, l’abbandono da parte dei suoi “amici” di partito, le sue lettere che diventano sempre più dure contro quella Dc da cui si sentiva tradito. Il regista ritorna sul luogo della Storia e questa volta va a sviscerare tutti gli aspetti. L’inizio è visionario. Moro è stato liberato e si trova in un letto d’ospedale: al suo capezzale accorrono Cossiga, Andreotti e Zaccagnini. Sogno, realtà, finzione? Una scena toccante, perché nella sua assurdità ti fa vedere i “se” e i “ma” della Storia: ti fa capire, emozionando, come poteva essere diverso, come tutto poteva andare in un altro modo. Ti fa vedere la speranza, ti fa toccare con mano la possibilità. L’occhio del regista, nelle prime due parti trasmesse lunedì, usa la cronaca per parlare di un dramma umano che va al di là. Forse per questo un incipit così spiazzante: si parla di Moro, ma non è Moro. Moro è morto, Moro è stato ucciso. I fatti assurgono a una dimensione da tragedia shakespeariana: il dramma sono gli esseri umani alle prese con la Ragion di Stato. Il dramma è il conflitto tra ragione e sentimento, tra politica e vita privata, tra grande Storia e destini personali. In queste fessure, in queste aporie dal punto di vista filologico si insinuano, attraverso il meccanismo di identificazione, le storie personali: chi il giorno del rapimento Moro era a scuola, chi faceva politica, chi lavorava in un giornale. Chi…
Eppure proprio questa mancanza di fedeltà che ha suscitato le reazioni più controverse. Sicuramente quella della famiglia di Moro. Durissimo il commento della figlia Maria Fida: «O si decide che siamo personaggi storici, e allora si rispetta la storia, o si decide che siamo personaggi privati e allora ci si lascia in pace». «Mio figlio ed io viviamo, nascosti in bella vista, col citofono, campanello, e telefono spenti – ha spiegato – ma ogni giorno un’ondata di tsunami ci raggiunge ugualmente. Non pretendo che gli altri – che non hanno provato – capiscano, ma a dispetto dell’esperienza seguito a sperarci». Bellocchio che ha definito Esterno notte meno ideologico del precedente Buongiorno, notte, si è scusato, non pensava di arrecare così tanto, nuovo dolore. Speculare la reazione di chi invece contesta al film di fare una descrizione stereotipata dei rapitori e delle contestazioni di quegli anni. Il nostro collaboratore e amico Frank Cimini ha parlato nel suo profilo facebook di “democratura”, riferendosi alla decisione della Rai di mandare in onda questa serie, proprio ora. “Lo Stato – ha scritto Cimini – con questo film anche dopo tanti anni si autoassolve”. Un messaggio che secondo lui, e molti altri, intende veicolare un messaggio anche rispetto all’oggi, a quello che stiamo vivendo con il nuovo governo.
La critica sulla descrizione tranchant dei rapitori è condivisibile ma non al punto da bocciare il film, il cui cuore pulsante è un altro: entrare nell’animo dei personaggi, creare una tensione che pur partendo da Moro, dalla sua morte, ci arriva ancora oggi. Non un messaggio di destra, ma il solito Bellocchio che affronta temi scomodi – come il suicidio assistito o la Storia – con uno sguardo intimo, che tende a piegare l’ideologia al vissuto. E poi c’è un altro aspetto che di questa miniserie, presentata a Cannes 2022 con successo, non si può trascurare: la bravura degli attori. A partire da un Fabrizio Gifuni in forma straordinaria. È riuscito, senza essere pedissequo o gigionesco, a fare un ritratto incredibile di Moro. La sua ossessione per il lavaggio delle mani, il suo sguardo, la sua scaltrezza. La sua intelligenza politica. Non si racconta una Storia pacificata, ma una Storia ancora oggi conflittuale. La differenza è nell’inquadratura. Nella recitazione. Nel montaggio. Nella fotografia. Nel modo di raccontare l’essere umano, cioè noi. La differenza è il grande cinema.
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