La seconda edizione del libro di Maria Antonietta Calabrò, nota giornalista, e di Giuseppe Fioroni, presidente della seconda commissione Moro Il caso non è chiuso. La verità non detta aggiunge altri interrogativi assai inquietanti ad una vicenda, quella del rapimento e dell’assassinio di Aldo Moro e della sua scorta, che ha segnato l’inizio della crisi della Dc e della Prima Repubblica. «Il mio sangue ricadrà su di voi» scrisse Moro in una delle sue ultime lettere rivolgendosi al gruppo dirigente della Dc.  Partiamo, però, dalle origini della vicenda. Subito dopo il rapimento fu netta la sensazione che il gruppo dirigente del Pci, guidato con mano ferrea da Enrico Berlinguer, riteneva che ormai Moro era un uomo morto. Di rimbalzo, del tutto simile era l’orientamento del gruppo dirigente della Dc (il presidente del Consiglio Andreotti, il ministro degli Interni Cossiga, il segretario formale della Dc Zaccagnini, il segretario sostanziale l’onorevole Galloni). Berlinguer riteneva che le Brigate Rosse con molteplici legami internazionali, dai palestinesi ai cecoslovacchi, si muovevano non solo contro il compromesso storico, ma contro la strategia di fondo del Pci. Di conseguenza, non bisognava in alcun modo trattare con essi dando la sensazione di un qualche riconoscimento del “partito armato”. Berlinguer notificò subito alla Dc che il Pci avrebbe fatto cadere il governo al primo accenno di trattativa. Andreotti, Cossiga, Zaccagnini, Galloni, Gava per i dorotei, si uniformarono a questa scelta per due ragioni: salvare il governo e mantenere in piedi la politica di unità nazionale.

Tutto ciò però si tradusse in modo paradossale per ciò che riguardava le indagini e la ricerca del luogo dove Moro era tenuto prigioniero, cioè nell’inerzia. In effetti, né fu fatta la trattativa né furono sviluppate indagini serie e reali, specie dopo le prime e polemiche lettere di Moro. Poi, sui tempi lunghi, dopo quasi due mesi, le Br dovevano chiudere una partita che durava già da troppo e l’unico modo era quello di consegnare Moro cadavere anche perché le Br non gradivano esser messe di fronte a mosse politiche che la complicavano sul piano politico e mediatico. Non a caso fecero trovare il cadavere di Moro a via Caetani quando seppero che alla direzione della Dc Fanfani avrebbe “aperto” sulla trattativa. Ben diversa sarebbe stata la partita se le Br si fossero trovate subito di fronte ad un’iniziativa dello Stato sulla trattativa. Ma lo Stato non agiva in modo incisivo e aggressivo neanche sul terreno delle indagini. Anzi da quel punto di vista avvennero cose incredibili: clamoroso fu l’errore commesso quando Prodi diede l’indicazione di Via Gradoli. Nessuno, anche a distanza di tempo, ha chiesto a Prodi di rivelare quale fu la fonte autentica che gli fece quella rivelazione perché non è credibile la storia della seduta spiritica. Comunque sia se le forze dell’ordine si fossero recate in via Gradoli, il caso Moro avrebbe avuto una svolta dopo pochi giorni: a via Gradoli c’era il covo segreto di Moretti e della Balzarani. Invece le forze dell’ordine ai recarono a Gradoli, un paese del viterbese. Ora, c’è un limite al grottesco anche perché esiste lo stradario. Evidentemente non lo si voleva trovare e di fronte ad una “mossa” esterna imprevista quale fu la rivelazione di Prodi gli apparati e chi li guidava non esitarono ad andare incontro ad una figura ridicola per altro non sottolineata da una stampa succube di un potere che andava dalla Dc al Pci.

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La seconda vicenda inesplicabile riguardò quello che accadde quando Craxi e il Psi si dichiararono a favore della trattativa. Non è questa l’occasione per riaprire il dibattito politico su quella iniziativa ma invece è interessante ricostruire ciò che accadde e ciò che non accadde. Bettino Craxi incaricò Claudio Signorile e Antonio Landolfi di prendere tutti i contatti possibili per accertare se le Br erano disponibili o meno ad una trattativa e a quali condizioni. Signorile e Landolfi fecero la cosa più ovvia di questo mondo: presero contatto con Lanfranco Pace e Franco Piperno, due personalità che provenivano da Potere Operaio e che erano borderline con il mondo dell’estremismo armato. Fecero subito centro: Pace e Piperno stabilirono il contatto con Valerio Morucci e la Faranda che erano i postini delle Br. Orbene, dei servizi degni di questo nome, avrebbero dovuto seguire da tempo, dall’inizio della vicenda, Pace e Piperno, e a maggior ragione avrebbero dovuto farlo da quando essi furono interpellati da Landolfi e Signorile che tenevano informato il governo di tutti i loro passi.  Terza stranezza: quando Morucci e la Faranda ruppero con le Br perché erano contrari all’assassinio di Moro essi si rifugiarono a casa di Giuliana Conforto che era la figlia del decano degli agenti del Kgb in Italia, Giorgio Conforto che fu presente anche al momento del loro arresto, ma che fu subito “dimenticato”? Altra domanda: perché Giorgio Conforto si fece trovare lì, dove erano anche la scorpion e altre armi? Detto tutto ciò, per mettere ulteriormente in chiaro quello che avvenne nella realtà, bisogna ricordare che invece, in occasione del rapimento del generale Dozier da parte delle Br, gli apparati dello Stato (polizia carabinieri servizi) divennero dei fulmini di guerra. Anche se ciò è stato sempre negato allora fu usata anche la tortura: i brigatisti catturati dissero subito dove era Dozier, i Nocs intervennero e, senza spargimento di sangue, liberarono Dozier e arrestarono i rapitori: una operazione da manuale.

Calabrò e Fioroni mettono in evidenza il retroterra di ciò che abbiamo descritto nelle sue manifestazioni più visibili. Questo retroterra era il cosiddetto lodo Moro che, a onor del vero, avrebbe dovuto essere chiamato “lodo Moro e Andreotti”. Dopo che l’Italia era stata colpita alcune volte da attentati, gli apparati italiani, con un dovuto consenso politico (appunto “lodo Moro e Andreotti”) fecero una intesa con le organizzazioni palestinesi (sia l’Olp di Yasser Arafat, sia il Fplp di George Habash) secondo la quale essi avevano libertà di transito (di uomini e armi) sul nostro territorio, ma non avrebbero più fatto attentati. Si è trattata di una sorta di patto con il Diavolo che era gestito dal colonnello Giovannone (il cui intervento non a caso fu invocato da Aldo Moro in una sua lettera). Le Br, però, avevano diretti rapporti con queste organizzazioni che le rifornivano di armi e, stando ad una battuta di Berlinguer a Sciascia, poi da lui smentita, anche coi servizi cecoslovacchi. Di conseguenza il lodo Moro-Andreotti evitò che i palestinesi continuassero a fare attentati sul nostro territorio ma non evitò che essi rifornissero di armi anche le Br che per parte loro sparavano a uomini politici, a magistrati, a esponenti delle forze dell’ordine, a imprenditori, a professori universitari. Cioè, indirettamente, per un tragico paradosso “il lodo Moro” consenti ai brigatisti di attrezzarsi per determinare il “caso Moro”.  Le cose non si fermano qui. Stando a quello che è riportato nel libro di Calabrò e di Fioroni il giudice Armati, in una testimonianza resa davanti alla Commissione, ritenne assai probabile che il colonnello Giovannone rivelò a George Habash che i giornalisti Graziella De Palo e Italo Toni si stavano recando a Beirut (1980) per indagare sul traffico d’armi fra l’Italia e il Libano. Da allora De Palo e Toni sono scomparsi. Secondo Armati, Giovannone avvertì Habash che la De Palo e Toni andavano a Beirut a rompere le scatole e Habash ne trasse le conseguenze. D’altra parte ricordiamo le proteste e le minacce dei dirigenti palestinesi quando per caso Daniele Pifano e alcuni militanti del Fplp furono arrestati perché su un’auto trasportavano addirittura un missile. Giovannone paventò ritorsioni. Non parliamo poi di tutti gli interrogativi ancora aperti sulla strage di Bologna che potrebbe essere stata determinata dall’esplosione fortuita di ordigni che venivano trasportati in una valigia avendo altra destinazione.

Tanti sono gli interrogativi ancora aperti, tra cui quello assolutamente banale sul perché Moro non avesse una macchina blindata: non dimentichiamo che in un primo momento i brigatisti avevano scelto Andreotti come obiettivo, ma poi avevano desistito perché troppo protetto. Altro interrogativo è costituito dal fatto che dopo l’uccisione di Moro e le polemiche sviluppate dalla famiglia Moro. Ci fu una sorta di anticipazione di Mani pulite e Sereno Freato, l’uomo che si occupava dei finanziamenti della corrente morotea, fu colpito sul piano giudiziario e demonizzato. Lo stesso che avvenne a Baffi e a Sarcinelli quando non ottemperarono alle richieste di Andreotti e di Evangelisti per aiutare Sindona. Da tutto ciò emerge che la storia italiana dagli anni Cinquanta in poi è piena di interrogativi ai quali è difficile dare risposta perché quello che è avvenuto “sotto il tavolo” è stato talora più decisivo di quanto non è avvenuto “sopra il tavolo”, cioè alla luce del sole. Oggi solo gli scemi possono pensare che le cose vanno diversamente, solo che c’è una ulteriore modernizzazione tecnologica grazie all’uso del trojan e all’uso politico di internet attraverso il quale Putin sta smontando le democrazie occidentali.

Fabrizio Cicchitto

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