Nella romana cornice di marmo già littorio dell’ex GIL, in largo Ascianghi, a ridosso del non meno rinomato cinema “Nuovo Sacher”, angolo estremo di Trastevere comprensivo di piazzola destinata al parcheggio, luogo di rissa per gli irriducibili spettatori ritardatari di Nanni Moretti, nei giorni scorsi, nella luce incerta di ciò che Pasolini chiamava “Dopostoria”, si è svolto un significativo e decisamente crudele incontro dedicato all’eredità del più fantasmagorico settimanale di satira che l’ormai malconcio Stivale abbia mai conosciuto, Il Male, l’indimenticato. Un dibattito a compendio di una mirabile mostra che testimonia, tra gigantografie di leggendarie “false” prime pagine, disegni e manufatti originali, la ricostruzione del locale della stessa redazione, memorabilia e ogni altro feticcio della satira passata ormai agli alberi pizzuti della repubblica, un momento di assoluta vitalità nella battaglia delle idee e del necessario sarcasmo da contrapporre alle bassezze altrove dominanti dell’informazione. I protagonisti? Da Vincino a Pino Zac, e ancora Angese, Giuliano, Cinzia Leone, Angelo Pasquini, Sergio Saviane in veste di “fiancheggiatore”, Riccardo Mannelli, Vauro, Jacopo Fo, Alain Denis, Roberto Perini, Mario Canale, Vincenzo Sparagna, Jiga Melik, Piero Lo Sardo, Giovanna Caronia, i disegnatori Tamburini e Liberatore, e lo stesso Andrea Pazienza, già allora alle prese con il suo Pertini, fino a Carlo Zaccagnini, figlio di Benigno, in arte, per pudore familiare, Carlo Cagni. Questi i volti contenuti nell’ideale quadreria-albo d’oro dell’avventura che adesso si rinnovella nell’omaggio intitolato Gli anni del Male 1978-1982.

A fronteggiare ogni tavola illustrata del sarcasmo trascorso, sotto bassorilievi che ancora adesso innalzano la gloria italica fin dai giorni delle sanzioni, quando Mario Appellius ebbe modo di coniare l’epiteto “Dio stramaledica gli Inglesi!”, ecco ora, irresistibile, indomabile, Paolo Cirino Pomicino, pronto a far rivista di sé tra disegni e ancora tavole; a seguirlo, Beppe Attene, ex direttore dell’Istituto Luce (e già questa, contemplato il luogo già caro al Ventennio, appare come metafora), distintivo massonico fieramente portato all’occhiello; il non meno eponimo Duca Conte radicale Roberto Cicciomessere; Sergio Staino, volto e postura da antico senatore romano, da attesa dei barbari, così come ne prefigurano l’implacabile arrivo i versi di Kavafis; l’esperto di cose disegnate Luca Raffaelli a moderare l’intera matassa, a contestualizzare fatti, azioni ed espedienti perfino drammaturgici orditi, sempre allora, dalla comitiva del Male, infine Filippo Ceccarelli, romano profondo, collezionista di spigolature, uomo saggio e di mondo, pronto a mettere anche lui ordine nell’ordito di un’avventura editoriale che oggi appare antica e insieme struggente per vitalità, per irritualità, per volontà anarco-situazionista, per ascesa editoriale e infine tracollo e rovina, così nel clima trascorso del compromesso storico in attesa del rapimento e dell’assassinio di Aldo Moro da parte delle ottuse Brigate Rosse… Perfino per irriproducibilità. Evocando la falsa prima pagina che annunciava lo scioglimento della Dc Cicciomessere auspica il ritorno del Male che presto «si contrapponga a La Bestia di Salvini». Attene, nostalgia canaglia del Garofano, ricorda invece che «i socialisti avevano più senso dell’umorismo di tutti gli altri». Viene addirittura evocata, come possibile Belfagor dell’evo politico trapassato, la “signorina” Enea, leggendaria segretaria di Andreotti, la si rammenta “in ciabatte” negli uffici di piazza San Lorenzo in Lucina. Andreotti, diversamente dai comunisti, era tuttavia tra coloro che richiedevano le vignette agli autori, così da metterle tra i trofei, accanto alle foto con i capi di Stato. Altre facce e faccine della cosiddetta prima repubblica si ritrovano intanto chiamate in causa, e così affiancate alle attuali per uno spareggio impietoso. Staino, dal suo ideale trono, evoca il Don Basilio, giornale anticlericale post-bellico che visse poche stagioni, Staino, con faccia da Bobo ormai in pensione, racconta ancora di quando, militante nel più oscuro partito marxista-leninista che la nostra penisola extraparlamentare abbia mai conosciuto, il P.c.d’I., stretta osservanza filocinese e addirittura filoalbanese al tempo di Enver Hoxha, reduce da un dibattito politico, ospite, a Treviso, di una “compagna”, chiese a quest’ultima se avesse, per caso, una copia, metti, di Tex Willer, delizie di lettura cui dedicarsi prima di andare a letto, e la infame militante irreprensibile, denunciò la gravità della richiesta al comitato centrale dell’organizzazione.

Sfilano gli invitati davanti alla prima pagina di “Paese Sera” che annuncia Tognazzi essere il capo delle Br, il “grande vecchio” per l’amarezza dell’ex socio Vianello che tuttavia concede: «È pazzo, ma lo perdono». Sfila Stefano Disegni davanti ai falsi gialli Mondadori che insinuano una “tisana assassina” per la dipartita di Papa Luciani. Solleva il capo Luca Sossella ascoltando il racconto della rabbia dei repubblicani per il modo in cui il giornale titolò la scomparsa di Ugo La Malfa: «In fondo era solo una tartaruga». Durante il funerale, i militanti dell’Edera bruciarono addirittura le copie del Male davanti alla bara del leader. Paolo Cirino Pomicino, ’O Ministro, monotipo, pezzo unico, a fronte di una richiesta esplicita degli astanti, non si sottrae dal mettersi in posa, lui, andreottiano, proconsole di quest’ultimo nella Campania Felix, eccolo ora accanto al busto di Andreotti, lo stesso che il collettivo del Male si apprestava a piazzare lassù al Pincio, accanto ai simulacri dei padri nobili della storia nazionale, l’irruzione della polizia, capitanata dal commissario Pompò, consentì il sequestro immediato del manufatto marmoreo. Ne seguì perfino una sventagliata di denunce, nella rete cadde anche Roberto Benigni, lì in veste di “madrina” della cerimonia. Quarant’anni dopo, davanti al busto ritrovato, custodito nel frattempo in casa di Vincino, c’è, sorridente, inaffondabile, magistrale, Paolo Cirino Pomicino, qualcuno, poco prima, auspicava la possibilità che “rinasca la Dc”, lui, l’ex ministro del bilancio, già antologizzato ne Il divo di Paolo Sorrentino, nell’immensa interpretazione di Carlo Buccirosso, è lieto anche di mostrarsi accanto alle altre false prime pagine de l’Unità e di Paese Sera. “Basta con la Dc!” e “La Dc abbandona!”, fa intanto eco la seconda. Sogni infranti. C’era una volta la satira, c’è ancora Cirino Pomicino.

Fulvio Abbate