Il ritornello è sempre lo stesso, già sentito dalle parti del Nazareno. L’anno prossimo si vota per il rinnovo del Parlamento europeo e le correnti già affilano i coltelli. Certo, la linea politica claudicante di Elly Schlein non aiuta la segretaria. Gli avversari interni rifiutano di candidarsi, ma preferiscono aspettarla al varco. Ed ecco le minacce, in stile involuto ma quanto mai concreto. “Nessun processo, ma se dovessimo andare sotto il 20% si aprirà una riflessione interna”, dice a Il Riformista un esponente della minoranza dem. Al Nazareno l’analisi della sconfitta è il prologo della graticola. E la notizia, a dire il vero non troppo sorprendente, è che a seminare dubbi sulla gestione politica di Schlein non sono soltanto quelli che al congresso l’hanno sfidata apertis verbis. No, tra i malpancisti si annoverano anche alcuni notabili della sinistra del Pd.

“Con questa non arriviamo manco al 17%”, si sarebbe lasciato sfuggire privatamente l’ex segretario Nicola Zingaretti. Uno che pure ha appoggiato la leader alle ultime primarie. Così come Andrea Orlando. L’ex ministro ha rifiutato la proposta di una candidatura alle prossime elezioni europee e con i suoi blandisce i quarantenni arrivati alla guida del Nazareno, anche grazie al sostegno della sinistra Pd di rito tradizionale. “Sono ragazzi, lasciamoli fare”, gli hanno sentito dire tra i corridoi di Montecitorio.
Ma, al netto dei retroscena, la tensione nel quartier generale di Schlein è palpabile. La soglia psicologica è quella del 20%. Al di sotto di cui potrebbe accadere di tutto. Però la segretaria considererebbe una sconfitta anche un risultato peggiore del 25%. La leader è la prima a non credere all’effetto Schlein. Perciò ha mandato in avanscoperta il fidato Francesco Boccia, capogruppo al Senato. “Alle europee dobbiamo vincere e questo significa che non deve sottrarsi nessuno”, ha detto Boccia provando a convincere Stefano Bonaccini a candidarsi.

Un invito elegantemente rifiutato dal governatore dell’Emilia Romagna, nominato presidente del Pd proprio da Schlein. Serrare i ranghi, coprirsi al centro. Sperare che il radicalismo di Giuseppe Conte non dreni voti alla sinistra della sinistra. La posizione della segretaria è quanto mai complicata. Se vira troppo sul progressismo a lei più congeniale, offre il gancio alla fronda della variegata minoranza interna. Se si riscopre meno barricadera rischia di finire nel tritacarne di un M5s che sventola le bandiere del salario minimo, del reddito di cittadinanza e del pacifismo. Un altro punto, quest’ultimo, su cui Schlein deve tenersi in precario equilibrio tra le sue tentazioni para grilline e le correnti del Pd fedeli a una salda collocazione euro-atlantica dell’Italia e del partito. Ne è dimostrazione l’irritazione della componente atlantista dei dem sulla proposta della segretaria di rinviare l’aumento delle spese militari dell’Italia al 2% del Pil, così come chiesto dalla Nato.

Schlein, per giustificare la mossa, un chiaro tentativo di provare a parlare all’elettorato “pacifista”, ha citato presunte dichiarazioni dello stesso tenore fatte dal cancelliere tedesco Olaf Scholz, socialdemocratico. Ma la sinistra tedesca non ha messo in discussione il rafforzamento della difesa atlantica. Anzi, Scholz ha detto che le scelte di oggi servono a raggiungere stabilmente il target Nato del 2% del Pil anche dal 2028 in poi.
Schlein, in realtà, citava Scholz e parlava a Conte, provando a sfidarlo in vista delle europee. Dall’altro lato la segretaria è preoccupata dai risultati che potrebbero ottenere le formazioni centriste, a partire da “Il Centro” di Matteo Renzi. Al momento, la gestione Schlein sembra contraddistinta da un riformismo mai nato e da un radicalismo incompiuto. Da qui la paura di non arrivare nemmeno al 20%, confermata dalle voci dal sen fuggite di Zingaretti. L’ansia al Nazareno non è certo placata dalla fuga dei potenziali candidati alle europee. Bonaccini, Lucia Annunziata e Giuliano Pisapia hanno già detto no all’offerta di Schlein.

Giulio Baffetti

Autore