Piero Fassino, l’ultimo segretario dei Ds e fondatore del Pd, di cui è membro della Direzione del PD e della Presidenza del PSE, rimane il punto di riferimento per i riformisti del suo partito. Con lui abbiamo fatto il tagliando ai Dem tra elezioni regionali ed Europee, davanti alle sfide internazionali.

Che giudizio dà del voto in Abruzzo?
«Il risultato dell’Abruzzo non poteva ripetere quello della Sardegna perché il voto sardo aveva variabili proprie. Il voto disgiunto, un candidato sgradito a molti, l’elettorato sardista umiliato per la rimozione del suo presidente. Aggiungo che quel voto si è svolto dopo le vicende di Pisa. E non dimentichiamo che l’elettorato sardo è sempre scettico verso chi governa a Roma. In Abruzzo queste condizioni non c’erano. C’era un candidato di valore, D’Amico. Ma non le altre condizioni».

Di cosa ci parla quel voto?
«Intanto continua ad esserci un tasso di astensione alto e nessuno per ora riesce a intercettare la disaffezione di chi si astiene. E questo è un tema che riguarda tutti. Se guardiamo ai voti degli schieramenti, emergono dati interessanti. La Lega ha un esito infimo, come in Sardegna. E si esaurisce definitivamente il progetto della Lega nazionale di Salvini. Il M5S non trasferisce sul piano locale il consenso che le viene accreditato sul piano nazionale. Il Cinque Stelle conferma un deficit di radicamento territoriale. È giusto cercare l’alleanza con il 5S ma sapendo che poi l’apporto elettorale è inferiore alle aspettative.

E poi la novità, la crescita di Forza Italia a un anno dalla scomparsa di Berlusconi…
«Fi ha quel successo non solo perché in quella regione c’è sempre stato un insediamento elettorale centrista, ma perché Forza Italia non appare come chi radicalizza lo scontro politico. C’è un elettorato moderato a cui non parla né Meloni, né Conte, né noi. E questo è il punto centrale: c’è una contendibilità su un elettorato moderato che la coalizione di destra tiene grazie a Forza Italia. Un elettorato a cui il centrosinistra per ora non riesce più a parlare. E questo tema interroga il Pd, che è nato per unire la sinistra con i progressisti moderati, allora rappresentati dalla Margherita. Questa analisi è confermata dal buon risultato del Pd, che cresce, supera il 20%, ma toccato quel tetto non va oltre».

Non c’è il voto di protesta?
«Non c’è una protesta clamorosamente visibile, ma l’astensione cos’è, se non disaffezione verso la politica? Si cerca stabilità, vengono premiate le forze politiche strutturate e portatrici di un messaggio di stabilità, nel centrosinistra il Pd, nel centrodestra Forza Italia, due soggetti non radicalizzanti. Il risultato delle forze che si collocano al centro, come Azione e Italia Viva, fa quasi l’8%. Un risultato che dà un segno interessante: la politica deve fare i conti con una domanda di stabilità e non di radicalizzazione».

Pd e questioni internazionali.
«Sarebbe sciocco non vedere che c’è una discussione, nel Pd. Che però non è una novità, si manifesta ogni volta che c’è un conflitto acuto. Come in occasione delle guerre in Iraq e in Afghanistan. Una parte del nostro partito assolutizza il valore della pace e chiede di opporsi a ogni forma di coinvolgimento. Poi c’è una parte che invece sa di doversi confrontare con i conflitti».

Il 7 ottobre è però una data spartiacque.
«Sì. E non può essere rimossa da nessuno. È sbagliato rimuovere il 7 ottobre in nome delle sofferenze del popolo palestinese. Quella crisi, quella guerra parte con il massacro di Hamas. Così come non si può non sapere che l’alto numero delle vittime è dato dal fatto che Hamas ha trasformato tutto il popolo palestinese in un gigantesco scudo umano. Creando una inscindibile commistione che mette a rischio la popolazione civile. Questo non assolve Netanyahu dalle sue responsabilità. Rifiuta l’ipotesi di Stato palestinese, l’ha sempre contrastata e ha responsabilità per come è stata condotta l’operazione su Gaza. Per questo Netanyahu non può essere un interlocutore nel processo di pace. Questo però non significa criminalizzare Israele e recriminare contro tutti gli israeliani, e men che meno verso tutti gli ebrei».

È un tema che la preoccupa.
«Ostacola ogni processo di pace. Chi contesta il diritto di Israele a esistere fa qualcosa di inaccettabile. E le contestazioni che ci sono state in alcune manifestazioni nei giorni scorsi – come allontanare da una manifestazione dell’8 marzo una ragazza che voleva ricordare le donne vittima di violenza di Hamas – è inaccettabile. Vietare a David Parenzo di parlare all’università è intollerabile. E sono gravissime le manifestazioni per una ‘Palestina libera’ che sottintendono la cacciata degli israeliani da quella terra».

Il Pd è stato equivoco, su queste posizioni?
«Non nelle posizioni ufficiali. La condanna di Hamas è assoluta e così il riconoscimento del diritto di Israele, così come dei palestinesi, a coesistere in due Stati. La richiesta di cessate il fuoco è stata fatta dal Pd per ottenere la liberazione degli ostaggi israeliani e per ridurre le sofferenze della popolazione palestinese».

La parola genocidio è entrata nel lessico democratico.
«No, è entrata nel lessico dell’estremismo di sinistra e di qualche esponente del Pd. Ed è sbagliata».

Perché, sbagliata?
«Alla fine della seconda guerra mondiale, Hitler aveva già perso la guerra. Le sorti erano segnate. E nonostante questo, gli Alleati decisero di dare un colpo tombale alla Germania, radendo al suolo tante città e provocando decine di migliaia di vittime. Quei bombardamenti, che oggi chiameremmo “sproporzionati”, non hanno condotto nessuno a pensare che fossero l’equivalente speculare delle camere a gas di Hitler. E così oggi va detto che le operazioni israeliane su Gaza – che gran parte della comunità internazionale valuta eccessive e sproporzionate – non possono essere rappresentate come l’equivalente speculare dell’orrore del 7 ottobre».

Sta di fatto che Daniele Nahum, consigliere comunale del Pd, ha restituito ieri la tessera…
«Conosco la situazione. Rappresenta l’insofferenza di molti ebrei che si trovano sempre più spesso a disagio. E tra pochi giorni viene promossa a Milano una manifestazione nel nome del genocidio. Bisogna correre ai ripari. Non a caso io e tanti altri abbiamo predisposto e pubblicato un manifesto che in pochi giorni ha raccolto mille firme. A dimostrazione che a sinistra c’è una sensibilità forte sulle ragioni di Israele e a contrasto dell’antisemitismo che sta riaffiorando».

Il Papa ha parlato della necessità di sventolare bandiera bianca in Ucraina.

«Che il Papa invochi la pace è ovvio. Il punto è che quel suo messaggio è suonato equivoco: agli Ucraini non si può dire: “Siete sconfitti e dunque negoziate”. Tanto che Parolin per rimediare ha rovesciato quelle parole, chiedendo ai russi di doversi fermare. Il punto però è un altro».

Qual è?
«Putin ha annesso dei territori. Li ha integrati nei confini ucraini. E questo rende molto complicate le ipotesi di trattativa di pace. I rapporti di forza sul terreno vanno ripristinati, per questo non vanno lesinati tutti gli aiuti necessari all’Ucraina. Va dato tutto il supporto possibile, incluso quello militare, perché solo questo può aprire la strada a una trattativa di pace».

Questo è chiaro a tutti, nel Pd?
«Me lo auguro. Elly Schlein è stata sempre chiara su questo.

Tra poco inizia la campagna per le Europee.
«E sarà la prima vera campagna in cui sono in gioco le sorti dell’Europa. Fino a pochi anni fa le Europee erano elezioni di mid-term. Servivano a fare verifiche nazionali, perché tutti i partiti in corsa si professavano, vero o falso che fosse, europeisti. Oggi no. Concorre per la prima volta al voto anche chi vuole cambiare il segno delle istituzioni europee: a seconda di chi prevarrà, l’Europa andrà in una direzione o nell’altra».

C’è una insorgenza di nuove destre. La preoccupa?
«Un impasto esplosivo tra nazionalismo e populismo come questo non può che preoccupare tutti i democratici e gli europeisti».

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.