Piero Fassino, parlamentare del Partito democratico, non ha soltanto osato andare in Israele facendo un viaggio normale anziché intrupparsi tra i pro-Hamas della Flotilla come hanno fatto certi suoi colleghi. Si è anche permesso, una volta arrivato laggiù, di dire che Israele “è una società aperta, una società libera, una società democratica”. Una bestemmia che ha perturbato le coscienze del partito bardate d’arcobaleno e kefiah: “Non ci rappresenta!”.

Ora, il Partito democratico che prende le distanze da un proprio parlamentare colpevole di aver definito Israele una “democrazia” è lo stesso che l’anno scorso – con Hamas a spadroneggiare su Gaza – presentava una mozione parlamentare per l’immediato riconoscimento della Palestina “quale Stato democratico e sovrano”. Mica a condizione che lo diventasse. Macché: lo riconoscevano sul presupposto che lo fosse. La democratica sovranità palestinese rappresentata dall’assassinio di massa degli avversari politici, dalla decapitazione degli omosessuali, dal sistema educativo che indottrina i bambini alla bellezza del martirio e dal welfare sicario che remunera con sontuosi vitalizi le famiglie dei terroristi, compresi quelli che hanno partecipato ai massacri, agli stupri e ai rapimenti del 7 ottobre.

Ed è il partito che oggi – mentre mantiene nei propri ranghi la gioventù granitica che giusto l’altro giorno ripudiava un altro indesiderabile, Emanuele Fiano – rimprovera a Piero Fassino di non aver fatto il proprio dovere, cioè andare in missione parlamentare a Gerusalemme per dire chiaro e tondo ciò che ogni sano democratico non può negare: vale a dire che Israele è pressappoco come il Terzo Reich, che le Forze di difesa di Israele sono come le SS e che gli israeliani sono democratici a patto che disertino e a condizione che sputino in faccia a Bibi Netanyahu. Ma non basta. Perché Fassino, fanno sapere i plenipotenziari del Pd, ha poi avuto la sventatezza di lasciarsi andare a quegli spropositi sulla democrazia israeliana mentre il partito è mobilitato “per la liberazione del leader palestinese Marwan Barghouti”, un assassino seriale responsabile della pianificazione dell’ondata di attentati che sconvolse Israele vent’anni fa. La democrazia dell’Intifada, diciamo.

Fassino ha voluto precisare che l’iniziativa della delegazione di cui faceva parte non supponeva nessun “avallo alle politiche del governo israeliano”: una precisazione legittima ma superflua, perché ciò che il partito gli rinfaccia è tutt’altro. Non di aver “avallato” le politiche del governo di Netanyahu, bensì di aver riconosciuto una realtà che è proibito anche solo evocare: il carattere democratico della società israeliana. Occorre negarlo. Perché solo negandolo è possibile scambiare un leader eletto – che come ogni suo omologo può compiere errori – per un despota usurpatore. Solo negandolo è possibile scambiare per una formazione genocida l’esercito di popolo che combatte una guerra che non ha scatenato. Solo negando che Israele sia una democrazia è possibile raccontare che i palestinesi non hanno uno Stato per colpa di Israele. Si è reso responsabile di mancato negazionismo, Fassino. Ingenuo, se pensava di passarla liscia.