Il passaggio al Matignon
Gabriel Attal, il premier 34enne voluto da Macron per il riarmo delle idee e della difesa
Appena giurato, il giovane Primo ministro francese Gabriel Attal, 34 anni, ha fatto sapere che il suo primo compito sarebbe stato correre al Pas-de-Calais per ascoltare i cittadini della regione de France che hanno chiesto l’immediata presenza dello Stato per dare certezze ai sinistrati dell’inondazione. Il passaggio al Matignon, sede del governo di Francia, diverso e distante dall’Eliseo dove risiede il Presidente della Repubblica come un re costituzionale, nei suoi nuovi uffici è stato rapido e privo di cerimoniali: il governo dei cittadini deve essere prima di tutto là dove i cittadini chiedono la presenza immediata del governo come un loro diritto repubblicano. Aveva passato la mattinata col presidente della Repubblica Emmanuel Macron e avevano concordato insieme che il comunicato dell’investitura ufficiale sarebbe stato emesso subito dopo il Petit Dejuner, il quale presidente e primo ministro avrebbero concertato insieme il programma immediato.
“Porterò con me la grande questione della scuola”, ha detto Gabriel che fino a poche ore prima ha ricoperto la carica in Francia fondamentale di ministro dell’Educatione Nationale. Ieri la Francia ha cambiato improvvisamente pelle procedendo alla nomina di un primo ministro giovanissimo in perfetta sintonia con il presidente, anche lui molto giovane, e con idee nettamente liberali che fanno a pugni sia con quelle della sinistra che della destra. Il fronte nazionale è irritatissimo e altrettanto irritati sono i sindacati degli insegnanti che hanno accusato Gabriel Attal di aver usato il ministero della pubblica istruzione come trampolino da cui saltare e approdare alla mansione di primo ministro. Attal sapeva di essere destinato al Matignon perché, come ogni politico o ufficiale francese sa dai tempi di Napoleone, “ognuno ha un bastone da maresciallo nello zaino”.
Attal è stato fino a ieri anche ministro della gioventù, che in Francia è una cosa estremante seria perché lo Stato liberale considera l’Education Nationale come motore e laboratorio della società e del suo futuro, lungo un percorso storico che segue in parte echi delle Rivoluzione ancora vivi quando nacque la Quinta Repubblica, dopo il disastro “all’Italienne” della Quarta. Fu allora che la Francia si riappropriò di caratteristiche che passando da Rousseau si erano consolidate con i rappresentanti delle istituzioni, i cui rappresentanti andarono fino a Colombay-Les-Deux-Eglises per supplicare lo scorbutico e gigantesco generale Charles de Gaulle (che nel 1941 aveva fatto da solo la Resistenza armata contro i tedeschi) a fare come Cincinnato: lasciare la campagna per tornare a Parigi e prendere in mano le sorti della Repubblica. De Gaulle riscrisse una Costituzione che somigliava a quella di una monarchia costituzionale, come del resto avevano fatto gli Stati Uniti: il re repubblicano sarebbe stato eletto, ma con molti più poteri di un re inglese perché avrebbe ispirato la nazione e nominato (o rimosso) il suo personale Premier con tutti i suoi ministri, chiamati a tradurre in atti di amministrazione le direttive del Presidente. L’arrivo di una Repubblica presidenziale francese costituì nel 1958 uno shock in Italia, dove sia la Democrazia Cristiana che il Partito Comunista vedevano come il fumo negli occhi l’idea di un regime parlamentare in due turni, con un leader estremamente personalizzato (basti ricordare dopo De Gaulle, i regni di Georges Pompidou, Jacques Chirac, Valery Giscard d’Estaing, Francois Mitterrand) da mettere in ombra l’intero carosello della politica dei partiti e delle correnti che si alternavano e contendevano il potere usando come Costituzione pratica il cosiddetto “manuale Cencelli”.
Macron non è il primo che ha voluto dare una svolta liberale moderna alla Francia, ma è l’unico che ha chiamato al Matignon un Premier poco più che trentenne ma che già si era fatto le ossa nell’amministrazione e nella politica. Il suo primo incarico era quello che oggi molti gli rimproverano come un caso sospetto di opportunismo: il Ministero dell’istruzione, abbandonato dopo pochi mesi alla maniera dei suoi ultimi predecessori. Ma il giovane Attal seguita a ripetere di volersi “portare dietro” nel suo nuovo ufficio anche la questione dell’istruzione che è oggi il cavallo di battaglia di Macron insieme all’ammodernamento della Difesa e il rilancio di una politica estera capace di giocare e comandare su molti tavoli e dossier. Le sinistre dei sindacati e di Melanchon hanno concordato tutto e più o meno lo stesso slogan, il nuovo capo del governo è un’opportunità che ha usato la scuola come trampolino. In realtà era stato nominato all’Istruzione il 20 luglio dello scorso anno al posto di Pap Ndiaye, nella famosa rue de la Grenelle dove i ministri si succedono vorticosamente, bersagliati dalle agitazioni studentesche e sindacali. Il ministro meno longevo è stato Benoit Hamon con soli quattro mesi e ventiquattro giorni al suo attivo nel 2014.
Sono stati tutti “passages éclairs”, passaggi lampo di politici in transito verso altri approdi e più alte cariche, come nel caso stesso della giovane promessa liberale, il giovane esperto in tecnocrazia, ma con un’anima non da tecnocrate: proprio lui, Gabriel Attal, che però l’incarico di ministro della pubblica istruzione l’aveva preso molto sul serio. Con Emmanuel Macron la scintilla era scattata fin dagli esordi nel meccanismo di governo, quando il capo dello Stato aveva fatto amicizia in modo autentico e cordiale con il giovane ministero. Il petit-dejuner di ieri non è stato il primo perché la prima colazione è per Macron il rito che si celebra in un’ora ancora tenebrosa che può protrarsi fra patisserie, caffetteria con il miglior cioccolato e durante quelle intense conversazioni Emmanuel aveva convenuto con Gabriel che la Francia è da aggiornare alla svelta. E che occorre un riarmo sia delle idee che della difesa, per affrontare le sfide imminenti e altre più imminenti ancora. Constatata la lingua comune e terminati tutti i croissant Emanuel ha portato il giovane fino alla sua porta d’imbarco e lo ha lasciato decollare. Prima tappa, gli alluvionati di Calais.
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