Giù le mani da Barbara d’Urso. Nessuna ironia: laicità pretende che possa recitare ogni genere di rosario. Alle grandi interpreti di se stesse va consentito questo e molto altro. Coloro che ironizzano o restano scandalizzati da “L’Eterno Riposo” recitato in diretta su Canale 5, con Matteo Salvini, chierichetto improvvisato di ritorno, ignorano che il sentire religioso nazionale più profondo risponde a ogni possibile forma devozionale, fosse anche al fai da te, al bricolage religioso et similia. Ahimè, assai di più della straordinaria e toccante benedizione Urbi et Orbi offerta al mondo dal Papa in mondovisione in piazza San Pietro deserta. Non è necessario avere letto i Situazionisti per intuirlo o magari frequentato una lezione di tradizioni popolari sul relativismo culturale. Lo stesso Salvini, per senso di ospitalità, ha fatto più che bene a unirsi alla litania.

Discutibile perfino obiettare, con i nostri tuttavia doverosi sorrisi da radical chic, estranei a ogni tentazione pop, sul fatto che Barbara reciti il rosario ogni sera, come i personaggi di Esposito Teresa, sceneggiata di Nino D’Angelo e Fortuna Robustelli, indimenticati interpreti del genere. Barbara d’Urso è un’interprete straordinaria, come tale va apprezzata, sia detto senza ironia; d’altronde, nei momenti di panico ci si raccomanda a chi che meglio si ritiene. In Perù, per esempio, sono certo che stiano pregando Sarita Colonia, santa, purtroppo mai riconosciuta dalla Chiesa cattolica, dei poveri di Lima, Sarita ha il merito di rendere invisibili i ladri, minuscolo volto da india, nella sua immaginetta votiva ci guarda da una trincea di rose.

I complottisti, da parte loro, hanno certezze altrettanto incrollabili, vanno ora immaginati in un laboratorio degno del Dottor Frankenstin dell’immenso Mel Brooks, dove sorta di Compagni di Baal, per citare un altro capolavoro sceneggiato tv, avrebbero preparato il virus, al fine di ribaltare gli equilibri geopolitici. D’altronde, nella situazione data ogni timore appare più che nobile. Torna pure alla memoria Vittorio Gassman ne L’armata Brancaleone quando scopre d’essere lì a giacere con una vedova appestata, ed eccolo fuggire nel timore di essere braccato dalla morte. Nel nostro caso, diversamente dalla solita prevedibile peste non sembrano esserci mascherine a sufficienza, così, in assenza dei presìdi necessari, queste e molte altre carenze sembrano legittimare ogni genere di novena, di rosario, di corno, di treccia d’aglio, forse non è un caso che nei giorni scorsi sia stato trasmesso su Canale34 L’esorciccio, caposaldo della filmografia di Ciccio Ingrassia.

Magari bisognerebbe trovarsi in questo momento a Napoli, la città, sia detto per inciso, della nostra Maria Carmela d’Urso, per capire in che modo nei momenti estremi si possano mobilitare perfino le Anime del Purgatorio o piuttosto i teschi degli antichi appestati che hanno trovato dimora nel Cimitero delle Fontanelle al Rione Sanità. O piuttosto a Palermo nel buio delle Catacombe dei Cappuccini: erano sempre tempi di pestilenze quando, si narra, una processione notturna di frati giunti dall’aldilà miracoloso mise fine al morbo.

Se le cose stanno così, per quali proterve ragioni dovremmo trovare discutibile, disdicevole, oscena la preghiera di Barbara nostra, queste sue parole toccanti, sicuramente perfette agli occhi dei semplici, del pubblico di Canale 5? Eccole: «… dieci secondi per pensare ai diecimila italiani che sono morti senza neanche essere stati salutati dai figli, dalle figlie, dalle mogli e dai mariti. Mi taccio e dedico un “Eterno riposo” a questi italiani e italiane che ci danno una mano da lassù a uscire da questo incubo», le mani giunte in segno di preghiera.

Mi direte: e quello lì presente in collegamento a farle da coro, Matteo Salvini? Eddài, non sottilizziamo! Pensiamolo nell’abisso dei sondaggi, mai stati così esegui per un Capitano come lui. Siamo o non siamo al “si salvi chi può”?
Nei giorni scorsi, il regista Paolo Sorrentino su Facebook ha postato un’immagine tratta da The young pope, uno scatto dove appare il suo Pio XIII interpretato da Jude Law in una piazza San Marco notturna e deserta, a commento Sorrentino nostro ha scritto: «Cinema Neorealista».

Questo per dire che al momento ogni immagine, ogni contributo è ammesso, compreso il rosario quotidiano di Barbara d’Urso. Qui mi torna in mente Pasolini, questi parlando della Via Crucis del 1974 lamentava il povero Paolo VI circondato da “quattro gatti” delle parrocchie romane, dolendosi che una religione straordinaria, come il cristianesimo, mostrasse ormai, allora, un volto residuale.

Nei giorni scorsi, in assenza di Pasolini, tutti noi abbiamo potuto rilevare l’immagine del papa attuale sul sagrato di San Pietro, solo, sotto una pensilina che i cinici hanno definito “da pompa di benzina Tamoil”. Anche Francesco sembrava fare del suo meglio innalzando il Santissimo Sacramento come fosse, appunto, la Kryptonite della Chiesa. La verità, sia detto senza neanche bisogno di citare Albert Camus a proposito della peste, è che siamo assolutamente nudi, e quindi sia benvenuta la novena di Barbara d’Urso, perfino accompagnata dal sagrestano Salvini. Chi ha avuto modo di assistere all’arrivo dei torpedoni, come in un film apocalittico mai girato di Fellini, laggiù in fondo alla Tiburtina, dove si svolgono le registrazioni di “Uomini e donne” e di “Forum”, saprà bene che Berlusconi, attraverso le sue reti, rappresenta una religione parallela nel Paese, davvero apotropaica.

Pablo Neruda, riferendosi a Rilke, il poeta dell’Indicibile, affermava «che in tempo di guerra parlare di alberi è un crimine». Sarà pure vero che in questo momento avremmo bisogno soprattutto di mascherine e di respiratori, ma anche in tempo di peste la letteratura e la poesia hanno la loro necessità, un po’ meno la retorica e luogo comune.

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Fulvio Abbate è nato nel 1956 e vive a Roma. Scrittore, tra i suoi romanzi “Zero maggio a Palermo” (1990), “Oggi è un secolo” (1992), “Dopo l’estate” (1995), “Teledurruti” (2002), “Quando è la rivoluzione” (2008), “Intanto anche dicembre è passato” (2013), "La peste nuova" (2020). E ancora, tra l'altro, ha pubblicato, “Il ministro anarchico” (2004), “Sul conformismo di sinistra” (2005), “Roma vista controvento” (2015), “LOve. Discorso generale sull'amore” (2018), "Quando c'era Pasolini" (2022). Nel 2013 ha ricevuto il Premio della satira politica di Forte dei Marmi. Teledurruti è il suo canale su YouTube. Il suo profilo Twitter @fulvioabbate