Il ministro Valditara ha dichiarato che intende mettere la parola fine al fenomeno della politicizzazione nelle scuole. E poi ha minacciato provvedimenti disciplinari (forse la rimozione) contro la preside che a Firenze ha scritto agli studenti una lettera di condanna del fascismo. Ha minacciato anche altri presidi che eventualmente volessero seguire l’esempio della preside fiorentina. È finita la pacchia.

Ci sono precedenti di iniziative così spregiudicate e reazionarie? Probabilmente nella storia repubblicana no, però nella prima metà del secolo scorso erano abitudine. Ci fu un ventennio durante il quale nelle scuole era proibito parlare di politica, anche nelle università, persino nei bar. In molti bar c’era un cartello con scritto: qui è vietato parlare di politica. Quanto alla proibizione di dichiarazioni o lettere antifasciste da parte di presidi o professori, anche questa c’è stata in quello stesso periodo (parlo degli anni, pacifici, grosso modo tra il 1922 e il 1940, poi scoppiò la guerra e le cose peggiorarono). Mi pare che fu nel 1931: il ministro della scuola Balbino Giuliano (predecessore di Valditara) emanò la disposizione che tutti i professori universitari dovessero giurare fedeltà al fascismo. Tutti piegarono la testa, tranne 12 professori (ne parla David Romoli) e i 12 furono licenziati. Qualcuno finì sul lastrico. Otto anni dopo furono licenziati anche tutti i professori ebrei.

Probabilmente il ministro Valditara si è ispirato a questi precedenti quando ha deciso di proclamare il divieto alla politica nelle scuole e la censura delle dichiarazioni antifasciste da parte dei presidi. Ci sono state molte reazioni alla sortita del ministro. La più vigorosa – e che rallegra un po’ le poche anime democratiche restate in circolazione – è quella del sindaco di Firenze Dario Nardella (erede di La Pira e di Bargellini, per fortuna, e non di Balbino Giuliano…) il quale ha difeso la professoressa e chiesto le dimissioni del ministro. Ha fatto bene Nardella a chiedere le dimissioni del ministro? Personalmente sono contrario all’abitudine da parte dei politici di opposizione di chiedere le dimissioni dei ministri ogni volta che questi commettono uno sbaglio o rilasciano una dichiarazione sconveniente. Però stavolta il problema è molto più complicato. Provo a riassumere.

Io non conoscevo Valditara. Ho dato un’occhiata alla sua biografia, e mi è parso di capire che è una persona colta. Mi sono stupito. Come può – mi son chiesto – una persona colta rilasciare una dichiarazione così fessa come quella del ministro contro la professoressa? C’è una sola risposta. Evidentemente il ministro Valditara è di idee fasciste e difende le sue idee. Prova a ricreare il clima del ventennio: proibizioni, divieti, sanzioni. Pensa che sia quello il modo giusto per forgiare le nuove generazioni. Perché vengano con la schiena dritta. Il ministro combatte per le sue idee e cerca di realizzarle. Io credo che chiunque abbia il diritto di difendere le proprie idee e anche di essere fascista (penso che andrebbe abolita la legge Mancino contro l’apologia del fascismo e anche la dodicesima disposizione transitoria della Costituzione). Però penso anche che dare l’incarico di ministro della scuola a un esponente politico di idee fasciste sia una cosa molto pericolosa.

E penso che se esiste in Italia, come esisteva una volta e forse ancora esiste, una maggioranza antifascista, sia giusto che questa maggioranza dia battaglia, faccia sentire le sue ragioni e chieda e ottenga la sostituzione del ministro con un esponente politico di idee liberali. Per la semplice ragione che il ministero della scuola è un luogo chiave dal quale si governa il futuro del nostro paese. Si condiziona l’educazione e lo sviluppo intellettuale dei giovani. Magari potremmo assegnare a Valditara il ministero della transizione ecologica, o del commercio con l’estero, dove le ideologie contano molto meno. Da destra però sembra che da questo orecchio non vogliano sentirci. Saltano su indignati ogni volta che qualcuno avanza dei sospetti per un busto di troppo del duce o per una vecchia fotografia in divisa delle SS. Probabilmente hanno ragione. Se uno si vuole tenere la statuetta di Mussolini sul comodino fa qualche danno solo all’estetica di casa sua e a nessun altro. Non capisco perché dovremmo scandalizzarci e lanciare alti lai. Se invece vuole cacciare una preside accusandola di antifascismo, beh, le cose cambiano. E se uno vuole cacciare una preside colpevole di antifascismo diventa impossibile non dire che è un fascista.

Diversi esponenti della maggioranza hanno protestato invece contro la lettera della Preside agli studenti. Per esempio l’on. Antoniozzi, del quale, ieri, abbiamo pubblicato un articolo proprio su queste pagine. Dice Antoniozzi che la preside ha condannato il fascismo e le sue violenze e non ha condannato gli orrori del comunismo. Ci sono due obiezioni da fare ad Antoniozzi. La prima è che la lettera della preside nasce dall’aggressione di un gruppetto di fascisti di Azione Studentesca contro i ragazzi della Michelangelo. Gli aggressori erano fascisti, per questo la lettera trattava del fascismo. I comunisti non c’entravano niente. Seconda obiezione. I comunisti, nel mondo, hanno fatto effettivamente cose orrende. Ma in Italia no. Anche perché non hanno mai governato.

Faccio un breve elenco di nomi: Gramsci, Terracini, Pertini, Saragat, Nenni, Pajetta, Foa e altre migliaia: tutti dirigenti politici catturati e messi in prigione dal fascismo e tenuti in prigione per decenni. Dai fascisti, non dai comunisti. Poi un altro elenco breve: Gobetti, Amendola, Carlo e Nello Rosselli, Matteotti, Ginzburg, e altre centinaia. Tutte persone uccise dalle squadre fasciste armate dal regime. Nessuno vieta di fare dei corsi di studio sui disastri comunisti nell’est Europa o in Cina, o a Cuba o in Cambogia. Difficle invece studiare i delitti commessi dai comunisti in Italia: divorzio, aborto, riforma sanitaria, equo canone, riforma della famiglia, non sono propriamente delitti.

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Giornalista professionista dal 1979, ha lavorato per quasi 30 anni all'Unità di cui è stato vicedirettore e poi condirettore. Direttore di Liberazione dal 2004 al 2009, poi di Calabria Ora dal 2010 al 2013, nel 2016 passa a Il Dubbio per poi approdare alla direzione de Il Riformista tornato in edicola il 29 ottobre 2019.