Attacco al cuore della democrazia
Disinformazione, troll, cyber-mercenari, hacktivisti e influencer scatenati grazie alla complicità di social e IA

“Non metteremo più la faccia sulle fake news.” In un video inusuale distribuito su tutte le piattaforme, gli anchor dei principali telegiornali e talk shows delle TV pubbliche e private danesi hanno attaccato frontalmente Meta (proprietaria di Facebook e Instagram) per aver permesso la diffusione di post pubblicitari che ritraevano i loro volti, spesso manipolati, e associandoli ad affermazioni false o diffamatorie. “I singoli giornalisti vengono abusati”, spiega Sandy French, capo-redattrice della rete pubblica danese DR, aggiungendo che i post manipolatori “minano la fiducia del pubblico nelle istituzioni e nei media. Come distinguere tra media giornalistici professionali e la schifezza che i truffatori producono, cannibalizzando la reputazione dei nostri dipendenti e dei nostri marchi?”. E tutto ciò a causa della complice negligenza di Meta.
“Sono le vostre piattaforme ed è vostra la responsabilità”, inveisce Sandy French. Il fenomeno non è nuovo. Anche da noi accade che testate giornalistiche vengano clonate in siti paralleli, con grafica identica e firme falsificate, per contrabbandare come notizia affidabile ciò che invece è disinformazione. È di appena un mese fa, per esempio, l’incidente in cui il quotidiano La Repubblica è stato vittima di un’operazione di clonazione da parte di una rete di accounts indiani che ne hanno piratato la grafica e il marchio per diffondere articoli di propaganda russa sul conflitto in Ucraina. Ma se il fenomeno non è nuovo, perché evocarlo proprio adesso? Cosa c’è di nuovo nella lotta impari che si sta combattendo con le piattaforme, i loro sponsor occulti e il variegato stuolo di attori – troll, cyber-mercenari, hacktivisti e influencer senza scrupoli – che sfruttano le vulnerabilità dei social per amplificare l’impatto di informazioni fasulle?
Almeno tre sono le ragioni che rendono oggi il fenomeno della disinformazione online più temibile, subdolo, e potenzialmente più efficace nella sua azione d’inquinamento di fatti la cui attendibilità dovrebbe essere la base di un dibattito pubblico e un confronto politico democratico. La prima è inerente alla rapida diffusione di sistemi d’intelligenza artificiale, in particolare l’IA generativa di cui ChatGPT e Dell-E sono ad oggi gli esempi più popolari.
La facilità di accesso e le abilità semantiche dell’IA generativa continuano ad aumentare da un mese all’altro, e lo stesso vale per i casi di abuso nella creazione e diffusione su larga scala di campagne di disinformazione che utilizzano contenuti sintetici in formato video, audio o testuale altamente convincenti: annunci (redditizi) su Facebook che cercano di influenzare gli elettori mostrando video “deepfakes” della presidente filo-occidentale della Moldavia, Maia Sandu, che indossa un hijab e annuncia la sua intenzione di dimettersi; post virali su Instagram, Facebook e Telegram, diffusi il giorno prima delle elezioni legislative in Slovacchia, in cui la voce di Michal Simecka (leader del partito social-liberale progressista) viene utilizzata in un audio generato artificialmente per annunciare la sua intenzione di aumentare il prezzo della birra; annunci su YouTube con deepfake di politici lussemburghesi.
Gli esempi potrebbero continuare. Secondo un recente rapporto del World Economic Forum, la disinformazione si piazza da quest’anno in prima posizione sulla lista dei maggiori rischi globali, seguita da eventi meteorologici estremi, polarizzazione della società, insicurezza informatica e conflitti armati tra Stati. “Nei prossimi due anni, un ampio spettro di attori trarrà vantaggio dal boom dei contenuti sintetici, amplificando le divisioni sociali, la violenza ideologica e la repressione politica – conseguenze che persisteranno ben oltre il breve termine”, prevede il rapporto.
La seconda ragione è legata alla crescente militarizzazione dello spazio informativo online. Con il perdurare del conflitto in Ucraina e della strategia del Cremlino volta a minare il sostegno dei governi occidentali a Kyiv, il ricorso alla disinformazione fa ormai parte integrante di un arsenale di tecniche e tattiche di guerra ibrida sempre più sofisticate. L’operazione d’influenza russa Doppelgänger, così denominata da EUDisinfoLab che ne ha intercettato le attività in Europa nel settembre 2022, ne è un esempio sintomatico. Un grande numero di testate giornalistiche europee, fra cui l’ANSA, sono state clonate per promuovere narrazioni filo-russe, raffiguranti l’Ucraina come uno stato fallito, nazista, e fatti atroci quali il massacro di Bucha come invenzioni teatrali del governo ucraino.
Benché già identificata, l’operazione Doppelgänger continua imperterrita la sua azione corrosiva e – secondo alcune analisi recenti – sta perfino intensificando le sue attività, soprattutto in Germania. E non si tratta di un caso isolato. L’operazione Portal Kombat, la cui esistenza è stata svelata dall’agenzia per la sicurezza francese Viginum nel febbraio di quest’anno, è stata oggetto di un’inchiesta approfondita da parte dell’European Digital Media Observatory (EDMO), una rete di ricercatori e factcheckers operante in tutti i paesi dell’UE con centro di coordinamento a Firenze, presso l’Istituto Universitario Europeo. I dati emersi nei giorni scorsi dall’inchiesta di EDMO dimostrano la presenza, in quasi tutta Europa, di una rete di siti copycut denominati Pravda, zeppi di propaganda filo-russa e storie false – un presunto spiegamento di truppe francesi in territorio ucraino, la moglie del presidente Zelensky, Olena Zelenska, che ride delle perdite delle famiglie ucraine – tradotte in tutte le lingue europee.
Il terzo elemento critico è costituito dall’approssimarsi delle elezioni del Parlamento europeo di giugno. Nel 2024 sono previste circa 70 competizioni elettorali importanti al livello globale e, da sempre, le elezioni sono terreno fertile per campagne di disinformazione. In Europa la posta in gioco è alta, cosi come i rischi di ingerenze straniere nel dibattito elettorale. Una risoluzione adottata dal PE il 25 aprile scorso riporta “accuse attendibili secondo cui alcuni deputati al PE sarebbero stati pagati per diffondere la propaganda russa” ed esprime indignazione per la partecipazione di deputati al PE a un sito di notizie filorusso, Voice of Europe, il cui obiettivo è di “compromettere il sostegno europeo all’Ucraina e di influenzare le elezioni del Parlamento europeo del 2024”.
In questo quadro complesso e irto di insidie, la reazione degli anchor danesi acquista una valenza diversa e più profonda del semplice aneddoto. Il fil rouge è che la disinformazione non è più un epifenomeno, tangenziale e periferico alle democrazie. Minare l’informazione è il punto d’ingresso di un attacco mirato alle fondamenta del nostro vivere civile. L’allarme dei giornalisti danesi dovrebbe essere anche il nostro.
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