Come non essere d’accordo con Aldo Grasso quando sul Corriere, domenica scorsa, scrive che “gli elettori non sono follower” e che i partiti più che essere interessati ai voti sembra che “cerchino solo i like”, forse perché negli anni scorsi è grossolanamente passata la vulgata digitale che un like al post si trasforma necessariamente in un voto. Al tempo stesso, però, come non dissentire con garbo dallo stesso Grasso allorquando riduce la riflessione sulla pervasività della comunicazione social dei politici a mera ragioneria dell’interazione, sottovalutando un secondo aspetto per nulla marginale e cioè che anche i follower, prima o poi, diventano degli elettori.

Solo che oltre i “ruffiani acchiappaclick” – per dirla sempre con un’espressione del critico del Corsera – c’è molto di più, ma tanto di più. Il presidio dell’infosfera digitale, così come quello delle bolle cognitive, che si gonfiano rapidamente con le polarizzazioni giornaliere, è la conditio sine qua non che ciascun leader – influencer è costretto a inseguire se ambisce a gareggiare credibilmente nel campionato dell’attenzione digitale. È questa la sfida più difficile e impegnativa che politici e candidati, hanno davanti ogni volta davanti a sé: catturare la nostra attenzione digitale, una merce divenuta tanto rara quanto preziosa nella società piattaformizzata.

La social hit dei candidati

Rara, perché stando alle ricerche più attuali il tempo medio che ciascuno di noi solitamente dedica a contenuto online prima di skipparlo non supera i 12 secondi. Quindi, un tempo che dura meno di un sorso di caffè. Preziosa, al contempo, perché in quei pochi secondi di attenzione quotidiana si alimenta e consolida tra leader e follower una micro-relazione di familiarità. Il follower sente di appartenere legittimamente alla narrazione digitale del leader, la vive come un naturale riflesso e adattamento della propria dimensione. Il politico diventa per la platea dei suoi follower un leader ordinary joe che incarna plasticamente l’essenza dell’orizzontalità propria della mitologia originaria del successo dei social network.

È inevitabile poi come questo legame, permanente e fintamente personale dove ogni singolo frame della giornata di un politico è reso pubblico e condiviso sui social, tra leader e follower venga da quest’ultimi percepito come un rapporto autentico. Vero e diretto. É questa la condizione sufficiente e necessaria alla mutazione genetica del follower depolarizzato, ovvero di coloro che seguono un leader più per la sua dimensione di celebrity e non certo per le sue scelte politiche, a trasformarsi nel giorno del voto in un elettore.

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Domenico Giordano è spin doctor per Arcadia, agenzia di comunicazione di cui è anche amministratore. Collabora con diverse testate giornalistiche sempre sui temi della comunicazione politica e delle analisi degli insight dei social e della rete. È socio dell’Associazione Italiana di Comunicazione Politica. Quest'anno ha pubblicato "La Regina della Rete, le origini del successo digitale di Giorgia Meloni (Graus Edizioni 2023).