Il caso nella storia
Storia dei 12 docenti che non giurarono fedeltà al Duce

Furono 12 (secondo una stima ufficiale leggermente approssimata per difetto) su 1225. Il posto nelle università lo persero subito, quello nella memoria storica dell’Italia democratica è stato cancellato quasi altrettanto velocemente: non se li ricorda più quasi nessuno. Sono i professori che nel 1931 rifiutarono di ottemperare all’obbligo imposto dall’art. 18 del Regio Decreto n.1227, pubblicato in Gazzetta ufficiale il 28 agosto: imponeva di giurare fedeltà al “Regime Fascista” pena il licenziamento. Lo aveva emanato il ministro per l’Educazione nazionale Balbino Giuliano, ma era stato pensato e deciso da Giovanni Gentile.
I 12 docenti che dissero no venivano da formazioni politiche e radici culturali diverse, anche se spicca una prevalenza di piemontesi, con 9 dissidenti, e una forte componente ebraica, con 5 docenti ribelli. L’ex ministro dell’Istruzione Francesco Ruffini ed Edoardo Ruffini Avondo, padre e figlio, insegnavano rispettivamente Diritto ecclesiastico e Storia del diritto. Edoardo, il più giovane del gruppo decise in contrasto con la sua indole: “Ho un’invincibile ripugnanza per il bel gesto. Se potessi scivolare via con un qualsiasi pretesto la cosa mi sarebbe più facile”. Ma il pretesto, anche se quasi tutti finsero di trovarlo, in realtà non c’era. Ruffini ne prese atto e si comportò di conseguenza.
Mario Carrara, assistente e genero di Lombroso aveva ereditato la cattedra di Antropologia criminale: di lì a poco sarebbe finito nel carcere di Torino, le Nuove, per il suo antifascismo. Gaetano De Sanctis, docente di Storia antica, spiegò che non poteva accettare una “menomazione della libertà interiore”. L’ultrasettantenne Bartolo Nigrisolo, Chirurgia, fu tassativo e sintetico: “Un giuramento simile non mi sento di farlo e non lo faccio”. Non si piegarono Vito Volterra, Fisica matematica; Ernesto Buonaiuti, Storia del cristianesimo; Lionello Venturi, Storia dell’arte; Piero Martinetti, Filosofia; Giorgio Levi della Vida, Lingue semitiche; Fabio Luzzatto, Filosofia del diritto; Giorgio Errera, Chimica. A questi 12 si devono aggiungere alcuni docenti la cui scelta è considerata dagli storici più incerta: Giuseppe Antonio Borgese, professore di Estetica, era in missione negli Usa e decise di non tornare in Italia proprio per evitare il giuramento.
Gli eredi sostengono che inviò una lettera a Mussolini per chiarire le ragioni del suo autoesilio e che la sua assenza dalla lista ufficiale dei dissidenti è dunque del tutto errata. Il grande economista Piero Sraffa si dimise dall’Università di Cagliari optando per Cambridge. Errico Presutti, docente di Diritto amministrativo e costituzionale a Napoli, apertamente antifascista, fu dichiarato “decaduto dalla cattedra” per non aver prestato il giuramento. Leone Ginzburg, che nel 1931 non era ancora titolare di cattedra, si unì ai 12, e perse il posto, nel 1934. Al chimico Michele Giua, padre di Lisa Foa, la carriera fu troncata nel 1933, quando decise di non iscriversi al Pnf.
Carrara promosse una raccolta di firme di protesta all’estero: aderirono 1300 intellettuali. Il regime se ne fregò. Francesco Ruffini si rivolse all’amico Albert Einstein, che scrisse al ministro della Giustizia Alfredo Rocco. La risposta fu delegata a un funzionario del ministero. “Il tedesco è eccellente ma la cosa resta un’idiozia da gente incolta”, commentò Einstein. Scrisse anche, inutilmente, Gaetano Salvemini, che aveva già lasciato l’insegnamento e il Paese e non nascose la delusione per l’esiguità del dissenso. Pio XI individuò un possibile compromesso per i docenti cattolici: avrebbero giurato ma con la riserva di non contraddire i princìpi cattolici. Su questa base il rettore della Cattolica di Milano padre Agostino Gemelli contrattò con il ministro Giuliano e con lo stesso Mussolini la deroga dall’obbligo per i docenti della Cattolica. Fu concessa a patto che agli stessi docenti fosse proposto di aderire volontariamente al giuramento. Giurarono tutti tranne 4 professori tra i quali Gemelli.
Alcuni docenti, come Concetto Marchesi, si piegarono con grande sofferenza solo dopo che il comunista Togliatti e il liberale Croce suggerirono di accettare il giuramento pur di non lasciare l’accademia completamente nelle mani dei fascisti. Marchesi, che aveva già annunciato il suo rifiuto, se lo rimangiò con sincera vergogna per disciplina di partito. Piero Calamandrei e Luigi Einaudi accolsero a loro volta l’invito di Togliatti e Croce per le stesse motivazioni. Molti giustificarono la scelta sottolineando che in fondo il giuramento non toccava le loro materie d’insegnamento. Gioele Solari, maestro di Norberto Bobbio, e Arturo Carlo Jemolo ammisero che lo facevano a malincuore e solo per motivi di portafoglio. Al ministro Valditara sarebbero piaciuti tutti, senza andare troppo per il sottile sulle motivazioni. Tutti tranne quei 12, o 15 che fossero, il cui ricordo è stato sbrigativamente messo da parte.
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