Carlo Alberto Giusti, giurista, economista e Rettore della Link Campus University di Roma, osserva da tempo l’evoluzione della politica americana. Lo raggiungiamo per discutere la fase attuale dell’amministrazione Trump, la seconda, quella inaugurata con il giuramento da 47° Presidente degli Stati Uniti.

Rettore Giusti, che titolo darebbe a questo momento della presidenza Trump?
«Senza dubbio: Trump dopo Trump. È un momento sospeso, in cui il Presidente combatte contro le ombre del suo stesso successo. Se ci fossimo chiesti nell’autunno 2019 chi avrebbe vinto le elezioni, la risposta era quasi scontata: Trump, fortissimo dal punto di vista economico e sociale, era il favorito assoluto. Poi è arrivato il Covid, il classico cigno nero, e tutto è cambiato».

CARLO ALBERTO GIUSTI RETTORE UNIVERSITA’ STUDI LINK

E oggi? Che cigni neri incombono sul suo secondo mandato?
«Dopo il giuramento del 20 gennaio, diversi cigni neri hanno attraversato l’orizzonte dell’Amministrazione. Ma il più pericoloso potrebbe essere quello spuntato con il ritorno del caso Epstein. Perché? Perché mina le fondamenta della narrativa Maga, quella costruita da personaggi come Steve Bannon e Joe Rogan, per cui il caso Epstein era la prova del complotto dei poteri forti. E ora il loro leader sembra voler sminuire proprio quello che per anni è stato il cuore pulsante della loro indignazione».

Trump ha smentito il suo stesso fronte?
«In parte sì. E questo può fare molto male. Perché parliamo di un elettorato – il popolo Maga – che Trump deve ringraziare per essere stato eletto. Se ora rinnega quella narrativa, rischia di perdere la connessione emotiva con la sua stessa base».

Pensa che Trump voglia ancora ricandidarsi?
«A mio avviso lo sa anche lui: non ci sarà un 48° mandato per Trump. Le sue mosse sembrano dettate più dal desiderio di consolidare il proprio lascito personale che da una vera strategia politica. E le prossime elezioni di midterm potrebbero confermare questo scenario. Trump sembra destinato a trascorrere i prossimi tre anni ad accumulare successi da spendere nella storia, non alle urne».

Sul fronte estero, come giudica il suo posizionamento?
«L’impegno bellico resta per lui una questione d’onore. Vuole affermare la supremazia americana sulla linea russa, battere Putin – anche se non lo agiterà mai come un nemico dichiarato – e far pesare l’alleanza con Netanyahu come leva di forza in Medio Oriente. Una postura muscolare, ma coerente con il suo approccio».

Chi potrebbe essere il «nuovo Trump» per i repubblicani?
«Questa è la grande domanda. All’inizio si pensava a una transizione naturale verso il vicepresidente J. D. Vance, ma finora è rimasto in ombra. Lo stesso vale per Marco Rubio. Eppure, dietro le quinte, a Washington – che in questi giorni è letteralmente rovente – si muove qualcosa. Trump appare come un treno lanciato, che non prevede fermate. Chi è salito a bordo, probabilmente, arriverà con lui fino alla fine. Ma qualcuno potrebbe anche saltare giù prima e candidarsi al prossimo giro».

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.