Riceviamo a pubblichiamo

Il principio della durata ragionevole del processo è uno dei principi processuali più rilevanti presenti nella nostra Carta costituzionale. La sua prima autorevole affermazione nell’ordinamento italiano giunge con la ratifica della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali che lo consacra nell’art. 6, «Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge, il quale sia chiamato a pronunciarsi sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile o sulla fondatezza di ogni accusa penale formulata nei suoi confronti. La sentenza deve essere resa pubblicamente, ma l’accesso alla sala d’udienza può essere vietato alla stampa e al pubblico durante tutto o parte del processo nell’interesse della morale, dell’ordine pubblico o della sicurezza nazionale in una società democratica, quando lo esigono gli interessi dei minori o la protezione della vita privata delle parti in causa, o, nella misura giudicata strettamente necessaria dal tribunale, quando in circostanze speciali la pubblicità possa portare pregiudizio agli interessi della giustizia».
PRESUNZIONE DI INNOCENZA

In aggiunta viene stabilito che «Ogni persona accusata di un reato è presunta innocente fino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente accertata». Con la Legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2, che lo ha inserito nell’art.111 Cost. comma 2, il legislatore, dopo aver stabilito che «la giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge» e che «ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizione di parità, davanti ad un giudice terzo ed imparziale», ha stabilito che «la legge ne assicura la durata ragionevole». Nel processo penale, la legge assicura che la persona accusata di un reato sia, nel più breve tempo possibile, informata riservatamente della natura e dei motivi dell’accusa elevata a suo carico; disponga del tempo e delle condizioni necessari per preparare la sua difesa; abbia la facoltà, davanti al giudice, di interrogare o di far interrogare le persone che rendono dichiarazioni a suo carico, di ottenere la convocazione e l’interrogatorio di persone a sua difesa nelle stesse condizioni dell’accusa e l’acquisizione di ogni altro mezzo di prova a suo favore; sia assistita da un interprete se non comprende o non parla la lingua impiegata nel processo. Recentemente la Corte di cassazione (Cass. Pen., Sez. II, 10 aprile 2018, n. 20125) ha confermato l’adagio secondo cui la documentazione dell’attività d’indagine che non venga depositata a mente dell’art. 415-bis c.p.p. diventa inutilizzabile nel corso del processo. Quindi, correlativamente, la Corte ha escluso che il comportamento elusivo del magistrato inquirente si traduca in una causa di invalidità dell’atto imputativo. Impostazione esegetica, questa, che non raccoglie consensi unanimi in dottrina e che si pone in rotta di collisione con un convincente orientamento giurisprudenziale minoritario, il quale, nel fare salve le indagini compiute secundum legem, censura con la nullità dell’atto di accusa la condotta del pubblico ministero che deposita solo una parte del materiale fruibile.
GIUSTO PROCESSO

E’ palese che non depositando una parte del materiale fruibile si rischia di alimentare una disparità di trattamento, orientando le sorti processuali contro gli imputati. La decisione – a dir poco esemplare – del Tribunale di Perugia che, aderendo all’orientamento minoritario all’interno della giurisprudenza di legittimità, ha affermato il principio secondo cui «il mancato deposito da parte del Pubblico Ministero, sia antecedentemente sia successivamente alla notifica dell’avviso ex art. 415-bis c.p.p., di atti delle indagini preliminari determina una nullità di ordine generale a regime intermedio – e non una inutilizzabilità – che può essere dedotta sino alla pronuncia della sentenza di primo grado»; Più in particolare «l’omessa integrale ostensione di atti delle indagini preliminari da parte del PM – ha affermato il giudice richiamandosi ad una recente sentenza di legittimità della Corte di Cassazione già sopra citata (10 aprile 2018, n. 20125) – impedisce all’indagato di esercitare compiutamente i diritti correlati alla notifica dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari, determina una lesione delle prerogative difensive che trova il suo strumento generale di tutela nella categoria della nullità a regime intermedio, disciplinata dagli artt. 178 e ss. c.p.p., dimodoché l’accoglimento della relativa eccezione – se puntualmente e tempestivamente dedotta – non si risolve nella mera declaratoria di inutilizzabilità dell’atto non depositato, come per lungo tempo affermato da altro orientamento della giurisprudenza di legittimità, ma assai più radicalmente nella regressione del procedimento alla fase in cui si è verificata la lesione del diritto di difesa, e ciò al fine di consentire al PM la riedizione della sequenza procedimentale in ossequio alla disciplina codicistica al fine di garantire una restitutio in integrum, anche postuma, delle garanzie difensive».
TRIBUNALE DI PERUGIA

Alla coraggiosa decisione del Tribunale di Perugia si aggiunge quella del Tribunale di Ravenna con l’ordinanza 2 marzo 2021 che seguendo la via della controcorrente rispetto all’orientamento maggioritario della giurisprudenza di legittimità, circa la lesione delle prerogative difensive consumatasi nel caso sottoposto al suo esame, e tempestivamente eccepita dalle difese, il giudice dottor Cristiano Coiro ha dichiarato, sulla scorta delle argomentazioni di cui si è dato conto, la nullità della richiesta di rinvio a giudizio e degli atti conseguenti disponendo la restituzione degli atti al pubblico ministero. Sono tutte e due decisioni storiche processuali quelle dei Tribunali di Perugia e Ravenna dove il pubblico ministero, sia antecedentemente sia successivamente alla notifica dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari ex art. 415-bis c.p.p., non depositava «una nutrita serie di documenti di sicura rilevanza nell’ambito del procedimento, in uno alla documentazione relativa agli esiti di una porzione dell’attività investigativa espletata nel corso delle indagini». Il giusto processo regolato dalla Legge a cui va aggiunta l’omessa integrale ostensione di atti delle indagini preliminari da parte del Pubblico Ministero rappresentano dei capisaldi che disciplinano l’esercizio della funzione giurisdizionale. Ed è per questo motivo che il Ministro della Giustizia farebbe bene a monitorare costantemente.

Luigi Camilloni

Autore

Direttore di Agenparl