Caro direttore,

ho letto con attenzione e apprezzato il civile confronto di posizioni tra te e Giorgio Gori sulla riforma della magistratura. Come sai, non sono un giurista e tantomeno un costituzionalista. Descrivendo nei “Promessi sposi” la peste seicentesca di Milano, Alessandro Manzoni conclude con una splendida e celebre frase: “Il buon senso c’era, ma se ne stava nascosto per paura del senso comune”. Ecco, per chi non ha dimestichezza con la disciplina del diritto come chi scrive, l’unica risorsa disponibile è quella del buon senso, ammesso che si sappia usarla correttamente.

Ora, Gori paventa nella separazione delle carriere il pericolo che la “postura esclusivamente accusatoria delle procure risulti rafforzata da una formazione dedicata e dalla nascita, di fatto, di una ‘corporazione dei pm’, del tutto autoreferenziale e sottratta ad ogni controllo”. Una valutazione, la sua, degna di rispetto. Tuttavia essa presuppone l’idea che è meglio lasciare le cose come stanno, che sia meglio non svegliare il “can che dorme”.

A me pare, invece, che già esista una corporazione dei pm “superpoliziotti” di fatto, autoreferenziale e sottratta a ogni controllo. A meno che non si voglia considerare l’attuale Csm – con la sua attuale composizione e il suo attuale sistema elettorale – un organo di controllo super partes, e non un luogo in cui si pratica un assai poco commendevole mercimonio di favori reciproci e di collusioni contro natura tra chi per mestiere accusa e chi per mestiere giudica (“Sistema Palamara”). Del resto, basta dare un’occhiata ai Paesi – non solo europei – in cui vige la separazione delle carriere, e in cui il pm è addirittura sottoposto gerarchicamente all’autorità del ministro della Giustizia, per rendersi conto che la preoccupazione di Gori non ha solide ragioni.

Il modello scelto dalla riforma costituzionale era perfettibile? Certo. Ma, come recita il detto popolare, il meglio è sempre nemico del bene. Resta il fatto che, tanto nel sistema di Common Law che in quello di Civil Law, chi accusa e chi giudica non siedono mai allo stesso tavolo, non prendono mai un caffè insieme. Una garanzia in più per il cittadino-imputato che non andrebbe gettata alle ortiche.