Facciamo alcune prime considerazioni a caldo, senza aver letto il testo del “decreto liquidità” nella sua versione definitiva, in assenza della Relazione Tecnica sulla quale sembra che la Ragioneria Generale dello Stato sia ancora al lavoro; ma solo sulla base delle prime anticipazioni uscite sulla stampa, e dei primi colloqui con il ministro Gualtieri in sede di cabina di regia. Prima domanda: quando sarà effettivo il decreto? Domani, la prossima settimana, fine mese? Bisogna, infatti, attendere ancora il suo confezionamento definitivo, la firma del Colle e la pubblicazione in Gazzetta. Tempi che non sembrano tanto brevi, anche se i tempi, in questa difficilissima crisi, appaiano decisivi.
Il fatto, poi, che il decreto entri in vigore e sia effettivo in una, due o tre settimane, o il prossimo mese, non è elemento indifferente perché gli altri Paesi europei, nostri competitor, hanno già messo nei conti correnti delle imprese o delle partite Iva la liquidità consentita dalla sospensione della normativa comunitaria sugli aiuti di Stato (temporary framework). Sarebbe il caso che il Governo facesse chiarezza su questo punto, indicando in maniera puntuale e operativa il percorso che tutti gli aventi diritto dovrebbero seguire con relativi adempimenti e tempistiche obbligatorie di risposta.
Seconda questione. Il ministro Gualtieri e il premier Conte hanno parlato di 400 miliardi complessivi messi sul piatto, suddivisi in una parte per le Pmi, tramite il fondo di garanzia, già presente nel decreto Cura Italia, e in un’altra rilevante componente per le medie e grandi imprese. Come è stato quantificato l’intero ammontare degli interventi? Con quale modello analitico? Con quale previsione di costo, a breve, medio e lungo termine? Con quale impatto sul Pil? Perché al momento non è dato sapere quanto costino i provvedimenti decisi ma non ancora effettivi, in termine di indebitamento netto o saldo netto da finanziare.
C’è molta incertezza su questo punto, che non è solo definitorio per addetti ai lavori, dal momento che far rientrare o meno una spesa nell’indebitamento netto significa discostarsi dal deficit programmato (i regolamenti contabili europei considerano, infatti, il “deficit” sul quale vengono calcolati i rapporti di finanza pubblica proprio l’indebitamento netto), e quindi dover chiedere un’altra autorizzazione parlamentare, particolarmente impegnativa (maggioranza assoluta dei componenti). L’obiettivo del Governo pare sia quello di ridurre al minimo l’impatto del provvedimento in termini di indebitamento netto. Ma è questo l’atteggiamento giusto? Il minimalismo del Governo è quello che si aspettano i mercati e gli italiani? È quello che si aspetta il mondo delle imprese attualmente in sofferenza? Non era meglio definire sulla base di un modello previsivo chiaro prima l’entità del discostamento e dunque qualificare e quantificare il provvedimento in termini di liquidità, così come aveva suggerito l’opposizione, 100 miliardi di scostamento subito?
Ecco perché non è possibile ad oggi definire “poderoso” un decreto che afferma di garantire 400 miliardi di liquidità stanziando, come pare, solo 3-4 miliardi e continuare a rinviare le scadenze fiscali di due mesi in due mesi. Ridicolo.
Sarebbe stato più corretto e utile, nonché necessario, procedere in maniera totalmente diversa: di quanta liquidità ha bisogno l’economia italiana nel suo complesso per poter ripartire e, sulla base di questa, quantificazione verificare le risorse necessarie e le condizioni contabili, nonché ragionare per avere al più presto l’autorizzazione del Parlamento, secondo quanto previsto dall’art. 81 della Costituzione e dalle regole europee.
E ancora, cambiando quadrante, è in grado il sistema bancario di far fronte in tempi brevi a milioni di richieste di credito, alcune con istruttoria, altre certamente senza, ma tutte provenienti da soggetti di piccole o piccolissime dimensione, come partite Iva, commercianti, e piccole imprese, o ci dobbiamo aspettare una nuova “sindrome Inps”, ovvero un caos di sistema che rallenta e blocca tutto, tanto le nuove quanto le vecchie istruttorie? Perché, lo ribadiamo, i tempi e l’efficienza sono elementi fondamentali. Andiamo avanti. Il Governo ha sincronizzato questa poderosa erogazione di liquidità attraverso il sistema bancario in ragione delle dichiarate fasi uno, due e tre della crisi? Delle tre fasi ha parlato il premier Conte, ma nessuno ha ancora ben capito i reali contenuti e confini delle stesse, ovvero quando finisce il lockdown, quando si riapre parzialmente e totalmente con le attività economiche e sociali, quando e se ci sarà piena mobilità per le persone e piena agibilità per il commercio e le altre attività sociali.
Quello che è certo però, in ogni caso, che l’ondata di liquidità che dovrebbe essere immessa nel sistema ha bisogno di essere sincronizzata e funzionare con ciascuna delle tre fasi. Certamente, per non far chiudere definitivamente le imprese che hanno tirato giù la saracinesca; per permettere alle imprese di riaprire; per far sì che ci sia una correttezza di comportamenti nei confronti dei fornitori, dei clienti e degli obblighi fiscali. Se non si conoscono, anche a grandi linee, le caratteristiche e la tempistica delle tre fasi, appare assai difficile sincronizzare la distribuzione della liquidità in maniera efficiente. Un ultimo dubbio. Se la moratoria fiscale per il mondo delle imprese e del lavoro autonomo procede anch’essa alla giornata, con continui rinvii di mese in mese, non c’è il rischio che la liquidità venga utilizzata tutta o in parte per pagare le tasse e i contributi?
In questo caso, ci troveremmo di fronte a un paradosso masochistico. Ad una partita di giro. Si metterebbe in moto un poderoso meccanismo, potenzialmente virtuoso, in definitiva però usato solo per pagare le tasse allo Stato che però è anche il garante ultimo di quella liquidità. Follia. Non era meglio avviare un ragionamento globale e complessivo da parte del Governo in termini di programmazione? Le fasi, la liquidità, gli ammortizzatori, i provvedimenti di emergenza, con le relative quantificazioni, il nuovo Documento di Economia e Finanza per avere un quadro esatto della situazione macroeconomica, magari pensando di anticipare la Legge di Bilancio a giugno 2020, per chiudere al più presto la fase di emergenza di quest’anno e mettere in sicurezza il prossimo?
Anche qui il Governo, nonostante le reiterate richieste pervenute, preferisce navigare a vista. Il che vuol dire finire per trasformare la crisi da simmetrica (che colpisce tutti) ad asimmetrica. Perché se noi siamo più inefficienti, in ritardo, vittime della nostra burocrazia e della nostra incapacità di Governo, il costo della crisi finiamo per pagarlo noi, più degli altri. Il tutto senza sapere ancora come andrà a finire la partita in Europa che, a parte la liquidità garantita dalla Bce con il suo bazooka illimitato del Quantitative Easing, è ancora in gravissimo ritardo con tutti gli altri strumenti, finendo così per premiare (volutamente o non) i più forti e penalizzare, secondo i dettami dell’etica protestante, i meno efficienti e i peccatori.
In altre parole, stiamo finendo nella trappola delle nostre inefficienze, contraddizioni e irresponsabilità, e non possiamo neanche dare la colpa agli altri. Detta una volta per tutte: gli altri Paesi hanno già iniziato a trasferire risorse a famiglie e imprese, mentre da noi non si sa ancora quando i primi euro entreranno nelle tasche degli italiani. Sta finendo la paura ma ci sta distruggendo.