Rendere più civile la giustizia italiana non è questione di dottrina, così come a farla incivile non è la sprovvedutezza di chi l’amministra. Il caso esemplare è quello dei cosiddetti mafiosi: è il furor di popolo che ne pretende la morte in cella, e a rintuzzarlo non serve erudizione ma la forza di essere impopolari. La morte in carcere di un mafioso, infatti, continua a essere una mostrina sul petto dello Stato che fa il suo malinteso dovere.

E a pensarla in questo modo non è soltanto il senatore lombardo che, travestito da sbirro, accoglie all’aeroporto l’ex terrorista da far marcire in galera: è anche il collega fiorentino che giusto qualche mese fa rivendicava di aver fatto morire in carcere i mafiosi ristretti durante il suo potere. È cultura sparsa a destra e a manca, dunque, ottimamente accreditata presso gli opposti elettorati. E a revocarne l’imperio non basta qualche intervento pur importante su questo o quel comparto dell’amministrazione.

Che la giurisdizione sia destinata a prendere un corso diverso solo in virtù del curriculum più sontuoso del presidente del Consiglio e della Guardasigilli è anche meno che una debole speranza, e cominciamo ad averne qualche temibile riprova a pochi giorni dall’insediamento del nuovo governo: perché a deturpare la giustizia di questo Paese non è soltanto il modo – certamente discutibilissimo – con cui è amministrata, ma soprattutto la cultura che ne legittima ogni aberrazione.

Alla teoria che sia diritto dello Stato allestire sepolcri in cui seppellire la vita di qualcuno nell’attesa della morte; all’assunto che l’ordinamento resta civile se tiene in salute i detenuti per garantire alla società di vederli morire lì dentro; all’idea che l’ultimo sguardo del condannato si spenga inevitabilmente verso le sbarre di una cella anziché in quello di un familiare o di un amico; insomma a una concezione mortifera e puramente vendicativa del sistema penale bisogna opporre qualcosa di diverso e ulteriore rispetto al profilo accademico impeccabile: perché questo impedisce tutt’al più lo strafalcione ma, se resta impassibile, lascia intatto il diffusissimo accreditamento di quella buia impostazione. Le ragioni per opporvisi con efficacia devono essere reperite altrove, e in primo luogo nel coraggio che ci vuole per rivendicare un potere dello Stato esattamente opposto: quello di assicurare che in carcere non muoia proprio nessuno.