"Si bagna la Fiamma rimane la cera e non ci sei più": così cantava Samuele Bersani
Il difficile rapporto tra Gianfranco Fini e Giorgia Meloni: la Fiamma si è spenta
L’idillio fra la Premier ed il fondatore di AN è durato poco più di sei mesi. Era cominciato lo scorso ottobre, ma è andato scemando con il tempo. E oramai si può dire che, tra i due, la Fiamma non arda più.
Il ritorno di Fiamma è durato poco più di sei mesi. La nuova luna di miele, inaspettata, tra l’ex leader della destra italiana e la sua ex pupilla, comincia il 4 ottobre dell’anno scorso davanti alla Stampa Estera, a Roma. Gianfranco Fini si presenta in conferenza stampa e recapita messaggi concilianti a quella Giorgia Meloni che ha appena vinto trionfalmente le elezioni politiche. “Ho sempre creduto in lei”, dice con il tono del mentore politico. E poi ancora: “Meloni è portatrice di valori occidentali”. In rapida successione: “Meloni ha votato a favore della svolta di Fiuggi”.
Pochi giorni prima c’era stata la strizzata d’occhio da parte di un altro ex colonnello di Alleanza Nazionale, poi divenuto pretoriano di Fratelli d’Italia. “Fini ha votato Meloni”, la rivelazione di La Russa, che di lì a poco sarebbe stato eletto presidente del Senato. Le divergenze, aspre, del passato sembravano appianate sull’onda del trionfo elettorale di FdI.
Anche se Meloni, con accortezza e malcelato fastidio, ha sempre evitato di commentare le uscite del suo ex “maestro”. Previdente, probabilmente. E infatti il giocattolo si è rotto nel giro di sei mesi di legislatura. Secondo i beninformati di Fratelli d’Italia, l’ennesima rottura risale alla fine di aprile. In concomitanza con le parole di Fini sul 25 aprile e i consigli a Meloni sull’atteggiamento da tenere su fascismo e antifascismo.
L’ex presidente della Camera parla in tv a Mezz’ora in Più di Lucia Annunziata e offre consigli non richiesti alla premier. “Basta ritrosie sulla parola antifascismo”, scandisce il 23 aprile nel salotto della domenica pomeriggio di Rai 3. Fini ci prende gusto a interpretare il ruolo del padre nobile della destra meloniana di governo e insiste: “La destra eviti divisioni sul 25 aprile e si riconosca nei valori della Costituzione”. Insomma, chiudere con il fascismo. Sulla scorta di ciò che fece Fini a novembre 2003 in visita in Israele. “Il fascismo è l’epoca del male assoluto”, disse Fini indossando una kippah allo Yad Vashem, il museo dell’Olocausto di Gerusalemme.
“Non mi sembra di essermi dissociata da quelle parole”, commentava Meloni a settembre 2022, in piena campagna elettorale per le elezioni politiche. Eppure l’attuale premier ha affrontato sempre con difficoltà il tema del fascismo. Il 25 aprile scorso, nonostante i consigli di Fini, la presidente del Consiglio non ha pronunciato la parola “antifascismo”.
Da leader di FdI Meloni si è sempre barcamenata, in equilibrio precario tra quella che lei definisce la “destra democratica” e la necessità di non recidere il filo con una fetta di elettorato che evidentemente ancora non vuole rompere il legame con le radici fasciste di parte della destra italiana. Un tabù. Tanto che Meloni, quando può, chiede ai giornalisti che la intervistano di non fare domande sul Ventennio. Una richiesta indirizzata soprattutto ai cronisti delle testate straniere, ansiosi di indagare sulla pesante eredità politica del partito di maggioranza relativa in Italia.
È stato proprio il consiglio di Fini sul 25 aprile a convincere Meloni dell’urgenza di silenziare l’ingombrante fondatore di Alleanza Nazionale. Basta fare due più due, oltre che ascoltare i sussurri che arrivano da Via della Scrofa. Fini si eclissa sempre di più a partire da maggio. Niente più ospitate su Rai3. Rarissime le presenze a La7. Meloni e i suoi sono intervenuti direttamente su Fini, con l’obiettivo di persuaderlo della necessità di fare un passo di lato a livello mediatico.
A influire sul ritiro dell’ex presidente della Camera anche l’attacco rivolto a Francesco Lollobrigida, ministro dell’Agricoltura e cognato di Meloni. Così Fini a L’Aria che Tira su La7 il 20 aprile: “Lollobrigida sulla sostituzione etnica ha detto una colossale sciocchezza, una cosa che non sta né in cielo né in terra”. “Lollo” ha replicato indirettamente il 24 aprile, reagendo all’affondo di Fini sulla Liberazione: “Viene spesso strumentalizzato dalla sinistra, questo non è il suo tempo”. Il 20 aprile Fini aveva duellato anche con La Russa, reduce dallo scivolone storico sui fatti di Via Rasella. Per il presidente del Senato quella pagina della Resistenza è stata “tutt’altro che nobile”. Così aveva detto La Russa a fine marzo scorso in un’intervista per il sito del quotidiano Libero. Ed ecco la strigliata di Fini: “Non è lecito fare battute o scherzare su questioni così importanti, non solo perché appartengono alla storia ma anche perché hanno ricadute attuali ancora oggi. La Russa si è reso conto perfettamente di aver preso una cantonata”.
Non proprio parole improntate alla cortesia reciproca. Infatti Fini dirada le sue presenze televisive proprio a partire dalla primavera inoltrata di quest’anno. Il fondatore di Alleanza Nazionale si è rifatto vivo in queste ultime settimane, quasi per vendicarsi del fastidio con cui Meloni ha accolto i suoi consigli catodici. Lo ha fatto tramite la carta stampata. Il 20 settembre in un’intervista a Il Fatto Quotidiano demolisce la linea governativa sull’immigrazione e dice che la legge che porta il suo nome, la Bossi-Fini, “va cambiata”. Poi liquida come “propaganda” la proposta meloniana del blocco navale e come “battute da comizio” gli affondi del leghista Matteo Salvini. I meloniani fanno trapelare virgolettati di fuoco: “Fini stia zitto, ha fatto solo danni”. E si torna subito al 2015, quando l’ex leader di An parlava di Meloni come della “mascotte di Salvini”.
L’ex presidente della Camera ha polemizzato con la narrazione del centrodestra anche in occasione della morte di Giorgio Napolitano. In un’intervista al Corriere della Sera di martedì ha espresso parole di elogio per Napolitano, in contrasto con la freddezza di Meloni. Quindi ha definito “spazzatura” le teorie del complotto su un intervento del defunto ex Capo dello Stato per provocare la caduta del governo Berlusconi nel 2011, con la complicità dello stesso Fini, allora in rotta con il Cavaliere. “Una teoria infondata e inoffensiva”, ha sentenziato il fondatore di An. La Fiamma si è spenta.
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