Nato nel New Mexico da genitori adolescenti, porta il nome di un immigrato cubano, secondo compagno della madre. Ha fritto patatine da McDonalds, ha consegnato la posta, ha aperto un campo estivo per bambini, sempre con quella curiosità per la tecnologia e la scienza che gli ha poi fruttato una laurea in ingegneria a Princeton. Crescendo ha capito che poteva fare soldi grazie all’avvento di Internet. E li ha fatti. Tanti. Ha trasformato il concetto di vendita al dettaglio, con una azienda nata in un garage di Seattle, che nell’ultimo anno ha fatturato 188 miliardi di dollari. Oggi, a Jeff Bezos piace farsi vedere in giro con cappello da cowboy e camice aderenti colorate, che mettono in mostra i suoi bicipiti. Ma non è cambiato solo nel look.

Se durante il suo primo mandato, definiva Trump “una minaccia per la democrazia”, stavolta ha fatto trasmettere lo streaming della cerimonia di insediamento su Prime ed ha prodotto un documentario sulla first lady Melania, grazie al quale lei guadagnerà 28 milioni di dollari di diritti d’immagine. Del resto, i primi quattro anni di Trump erano costati a Bezos dieci miliardi di dollari di contratti pubblici, fatti saltare dal Presidente che lo definiva “Jeff Bozo”, tradotto: idiota. Questa volta, però, non ci ha messo molto a decidere da che parte stare. Per celebrare la sua conversione al mondo Maga, ha fatto ritirare il tradizionale editoriale di endorsement per il candidato democratico, Kamala Harris, sul giornale di cui è proprietario, il Washington Post. Da un po’ di tempo, poi, Bezos ha una nuova passione e vi si sta dedicando sempre più in prima persona, lasciando gli altri business in mano a manager di fiducia: lo spazio. In questo aprile, da poco messo agli archivi, ne ha dato piena dimostrazione con due azioni eclatanti. Sui media si è parlato più della gita turistica suborbitale di Kate Perry e della sua futura moglie, organizzata con la Blue Origin, la compagnia aerospaziale da lui fondata.

Pochi giorni dopo, Bezos ha piazzato in orbita 27 satelliti per la connessione a Internet più veloce e raggiungibile anche nelle aree più remote del pianeta. Si tratta soltanto del primo lotto di un progetto che prevede una costellazione di 3200 satelliti entro sei anni. “I satelliti di comunicazione più avanzati mai realizzati”. Così li ha descritti Rajeev Badyal, vicepresidente del programma, battezzato Project Kuiper. Oltre dieci miliardi di dollari di investimento che suonano come un guanto di sfida lanciato a Elon Musk, proprio nel campo in cui, grazie a Starlink, primeggia. Per recuperare rapidamente terreno, infatti, il patron di Amazon ha già programmato altri 80 lanci in tempi brevi, per schierare la metà dei satelliti previsti già nel 2026.

Promette inoltre di conquistare i clienti con prezzi del servizio di connessione bassi e accessibili. I presupposti per un nuovo equilibrio del mercato delle telecomunicazioni spaziali ci sono tutti e Starlink, che domina con 7200 satelliti, non sta a guardare. Dall’inizio dell’anno ha già effettuato 31 nuovi lanci e ce ne saranno altri. L’espansione dei servizi di connessione ad orbita bassa, rispetto ai tradizionali satelliti situati a oltre 35mila km dalla Terra, rappresenterà un’opportunità per gli utenti e le aziende, sebbene pongono alle istituzioni enormi responsabilità su questioni regolamentari per evitare fenomeni di dumping e garantire la sicurezza delle infrastrutture, anche in vista delle nuove concessioni per l’uso delle licenze elettromagnetiche.

Salvatore Baldari

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