Dal 2008, il Kosovo è indipendente. “Il Kosovo è una provincia della Serbia”. Questo è quello che riportano gli storici serbi, e questo è quello che il governo serbo mette al centro nella sua politica. E così parla il presidente serbo Vucic. Ma chi sa della storia complessa dei Balcani, sa anche che non è così semplice. Il Kosovo ha sempre avuto una maggioranza di popolazione di lingua albanese, ma anche una popolazione serba, oltre ad ospitare dei monasteri importanti per la chiesa ortodossa serba.
La popolazione kosovara, quasi due milioni di persone, è oggi composta da una netta maggioranza albanese (92%) e da numerose minoranze etniche (8%): serbi, bosniaci e gorani, rom, ashkali, egiziani e turchi. Durante i bombardamenti Nato nel 1999, conseguenza di discriminazioni e massacri da parte del regime di Slobodan Milosevic, più di 800.000 albanesi abbandonarono il paese; al termine del conflitto e a seguito del ritiro delle forze iugoslave gran parte dei profughi rientrò in Kosovo, mentre una nuova ondata di profughi, circa 235.000 persone tra serbi e membri delle altre minoranze, emigrarono verso la Serbia e altri paesi europei.

Il Kosovo è ricchissimo di storia. Ancora più vecchi degli antichi monasteri, sono i resti dell’antica “Dardania” (la precursora dell’Albania e del Kosovo) ritrovati solo recentemente. Una storia che continua ad avere un impatto su qualsiasi aspetto della vita quotidiana dei cittadini. L’elemento più recente è la dichiarazione unilaterale di indipendenza del Kosovo come Stato, nel 2008.
La diatriba costante con la Serbia sull’esistenza stessa dello stato Kosovo è però deleteria. Finché la Serbia non riconoscerà il Kosovo come stato, non ci sarà modo di avere un rapporto di buon vicinato – con le conseguenze negative per tutta la regione dei Balcani. L’Unione europea cerca di includere il Kosovo nella sua strategia di allargamento, ma è difficile, perché 5 stati membri non hanno ancora riconosciuto il Kosovo: la Grecia, la Slovacchia, Cipro, la Romania e la Spagna, la quale non lo riconosce perché ha paura che possa creare un precedente per la Catalonia. Ma non è proprio così – l’indipendenza del Kosovo è avvenuta dopo crimini di guerra al limite del genocidio. Dopo il crollo della Jugoslavia; uno scenario molto diverso. Comunque, il riconoscimento dell’indipendenza è imprescindibile per poter diventare membro effettivo dell’Unione europea. E siamo ancora lontani da uno scenario simile.

Perché includere nell’Unione europea un Paese come il Kosovo? Per due motivi: uno, perché rappresenta il paese più democratico nei Balcani, quello che ha implementato un maggior numero di riforme contro la corruzione e la mancanza di trasparenza, quello che ha il più alto sostegno nei confronti del processo di adesione all’Unione europea (circa 84%). L’altro motivo, che accomuna il Paese alla Bosnia, è il suo passato, e il ruolo che gli attori internazionali hanno giocato nei suoi confronti. Non intervenendo in tempo durante l’aggressione serba in Bosnia e Erzegovina, ma anche in Kosovo, si è creata una responsabilità che la Comunità interazionale e l’UE si portano dietro. Recentemente, il Kosovo, inoltre, è il Paese nei Balcani che più supporta e sostiene l’Ucraina.
Nonostante tutto ciò, l’Unione europea, a giugno 2023, ha imposto delle sanzioni al Kosovo, per via di una crisi legata alle elezioni nel Nord del Paese, dove ci sono 4 comuni a maggioranza serba. Dopo che i kosovari serbi, con intervento da Belgrado, per protesta hanno boicottato le elezioni comunali, il governo del Kosovo ha insistito a insediare i neo-eletti sindaci di nazionalità albanese nei municipi (nonostante essi risultassero eletti con delle percentuali irrisorie). Intervento corretto sulla carta, forse, in realtà è stato percepito come provocazione e tentativo da parte del governo centrale kossovaro di prendere il controllo sui 4 comuni settentrionali. Questo ha aumentato le tensioni, con proteste violente (nelle quali sono rimasti feriti anche dei carabinieri italiani); qualche settimana dopo alcuni poliziotti kosovari sono stati rapiti e imprigionati dalla Serbia, violando la sovranità territoriale del Kosovo. La Serbia argomentava che erano in territorio serbo; ma è stato provato il contrario, i poliziotti sono stati rapiti in territorio kosovaro. Ma le sanzioni le ha subite (e le subisce tuttora) solo il Kosovo. L’Unione europea ha quindi adottato una linea di parte, che prende di mira il Kosovo, ma non prende alcun provvedimento contro la Serbia.

Questo approccio unilaterale tende a rafforzare ulteriormente il regime autocratico di Aleksandar Vucic, presidente della Serbia, e a indebolire i politici che stanno facendo le necessarie riforme, come il primo ministro kosovaro Albin Kurti. Comunque a Bruxelles si vocifera che il dialogo tra Kosovo e Serbia riprenderà già il 14 settembre. Senza un cambio di strategia pare difficile che ci possano essere degli sviluppi positivi.
L’obiettivo principale del governo kosovaro rimane il riconoscimento dell’indipendenza. Questo è al centro di tutto. Potrebbe muoversi qualcosa, dopo che la Grecia, che non ha mai incontrato un premier kosovaro, ha accolto il primo ministro Kurti due settimane fa. Inoltre, per la prima volta la stampa greca ha anche pubblicato un articolo nominando il Kosovo e Kurti, con perfino una foto della bandiera, cosa mai accaduta prima. Che queste novità portino presto anche ad un riconoscimento non è detto, ma costituisce sicuramente un miglioramento ed un buon inizio.
Ed è su questo che il Kosovo punta adesso. Fare riforme, avere buone relazioni col vicinato e riuscire a rafforzarsi come stato indipendente. Il Kosovo ha bisogno di sostegno internazionale, soprattutto nei confronti della Serbia, che cerca, con un lobbismo forte, di impedire al Kosovo di essere riconosciuto da ulteriori stati.
La storia gioca sempre un ruolo fondamentale per i Paesi dei Balcani, come ho scritto già nel mio primo articolo: segna passato, presente e futuro contemporaneamente.
E che cosa allora potrebbe aiutare questo giovane Paese? Soprattutto un ulteriore riconoscimento, ad esempio da parte della Grecia, oppure da altri Stati membri UE, per andare avanti sulla strada verso l’integrazione. Il riconoscimento dell’Ucraina sarebbe un segnale fortissimo. Ma in questo preciso istante non sembra possibile, per ovvie ragioni. Tuttavia, recentemente il Presidente ucraino Zelensky ha incontrato il primo ministro Kurti per un breve momento ad un vertice in Grecia ed è stata la prima volta che si vedevano, in contesto cordiale.
L’Unione europea deve decidere una sua strategia per risolvere la questione del Kosovo: deve prendere posizione contro gli autocrati, ancorati allo status quo, e sostenere in modo più determinato chi vuole diventare uno stato democratico.

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Nata a Trento, laureata in Scienze Politiche all’Universitá di Innsbruck, ho due master in Studi Europei (Freie Universität Berlin e College of Europe Natolin) con una specializzazione in Storia europea e una tesi di laurea sui crimini di guerra ed elaborazione del passato in Germania e in Bosnia ed Erzegovina. Sono appassionata dei Balcani e della Bosnia ed Erzegovina in particolare, dove ho vissuto sei mesi e anche imparato il bosniaco.