Balcani, terre d'Europa
Il percorso verso l'Ue tra l'influenza russa e della chiesa ortodossa
Il Montenegro, il paradiso degli oligarchi russi che adesso vuole l’Unione Europea
Come abbiamo visto fino ad ora, ogni Paese parte dei Balcani ha una peculiarità e un vissuto diverso. Il passato li ha influenzati tutti, ma la modalità di trasformazione è stata molto diversa in ognuno di loro.
Il Montenegro, a differenza del Kosovo o della Bosnia ed Erzegovina, non ha sofferto per la sua indipendenza (non ha dovuto subire una guerra per poterla ottenere). Fino al 2 giugno 2006 la Repubblica del Montenegro è rimasta unita alla Repubblica di Serbia con il nome di Serbia e Montenegro. Dal 3 giugno 2006 il Montenegro è diventato uno Stato indipendente, proclamato a seguito del referendum sull’indipendenza fortemente sorvegliato dalla Comunità internazionale.
Come per gli altri paesi dei Balcani, è importante partire dalla composizione della popolazione per poter approfondire la storia e le sue conseguenze: circa il 30% della popolazione del Montenegro si identifica come serba, il 50% montenegrina, il 9% bosniaca musulmana e il 5% albanese, secondo il più recente censimento, quello del 2011 (in Montenegro gli intervistati del censimento 2021 non devono più rispondere a domande riguardanti l’etnia, la religione o la lingua, per questo non ci sono dati più aggiornati). Già da questi dati demografici si può comprendere perché il Montenegro non abbia seguito il percorso degli altri Paesi dei Balcani, ma sia rimasto comunque sempre piuttosto vicino alla Serbia.
Un ulteriore fattore importante, oltre alla vicinanza geografica, è la forte influenza russa che continua a farsi sentire nel paese. Il motivo principale? Il turismo. ll Montenegro è un paradiso per gli oligarchi russi, considerato il fatto che non hanno neanche bisogno di un visto per entrare e per l’esistenza di leggi fiscali blande. L’altro fattore è la Chiesa ortodossa serba, che gioca ancora un ruolo fondamentale, anche in politica, nonostante la Chiesa ortodossa montenegrina abbia preso le distanze da essa dopo l’indipendenza del Paese. Infatti, la Chiesa ortodossa serba non ha mai riconosciuto l’autocefalia di quella montenegrina e continua ad affermare che il Montenegro faccia parte del suo territorio canonico; essa mantiene radici e una presenza forti e legami con la Russia.
Ma ovviamente c’è anche la classe dei politici locali, appartenenti ad élite e spesso accusata di corruzione. Il loro campione per eccellenza è Milo Djukanovic, che ha dominato la politica montenegrina dal 1991, portando il Paese all’indipendenza nel 2006, per continuare a dominarne lo scenario politica. Il suo Partito Democratico dei Socialisti (DPS) ha vinto ogni elezione dal 2006 al 2020. Di positivo c’è che ha portato il Montenegro nella NATO e ha riconosciuto il Kosovo nel 2008. Ma la prima carriera politica di Djukanovic è stata costellata di controversie.
Quando entrò sulla scena politica all’inizio degli anni ’90, fu uno stretto alleato del serbo Slobodan Milošević e fu al suo fianco quando questi intraprese sanguinose guerre di aggressione contro la Croazia e la Bosnia-Erzegovina. Nel 1991-92, il gabinetto di Djukanovic sostenne attivamente l’assedio di Dubrovnik, durato mesi, che devastò la storica città costiera e fece molte vittime tra i civili. Nella primavera del 1992, all’inizio della guerra di Bosnia, la polizia montenegrina arrestò più di 60 rifugiati, per lo più bosgnacchi, nella città costiera occidentale di Herceg Novi e li consegnò alle truppe serbo-bosniache. Solo pochi sopravvissero. Numerosi soldati e volontari montenegrini parteciparono alle atrocità in Bosnia. Tutto questo avvenne sotto la guida di Djukanovic. Alla fine degli anni Novanta, tuttavia, il leader montenegrino si rese conto che la marea si stava rivoltando contro Milošević e voltò rapidamente le spalle al leader serbo. Prese le distanze dalle politiche sostenute da Milošević, abbandonò i discorsi filo-serbi, abbracciò il nazionalismo montenegrino e si reinventò lentamente come riformatore indipendente e filo-occidentale aprendo anche alla preparazione del Paese per un’adesione all’UE.
È stato ripetutamente accusato di corruzione e criticato per i suoi presunti legami con la criminalità organizzata. È stato coinvolto nei Pandora Papers e ha dovuto affrontare accuse di riciclaggio di denaro. È stato anche criticato in patria e all’estero per i suoi attacchi ai giornalisti indipendenti.
Si potrebbe scrivere un romanzo su come i politici dei Balcani siano in grado di reinventare la loro vita e riescano a far dimenticare le cose orribili che hanno sostenuto. Per girarne un film, la vita e la carriera di Milo Djukanovic sarebbero un ottimo copione.
Nel 2020 comunque, le fratture interne in Montenegro diventano nuovamente evidenti in una disputa sulle proprietà terriere della Chiesa serbo-ortodossa, con il governo Djukanovic che voleva costringere l’istituzione a registrare le sue vaste proprietà terriere montenegrine. La legge ha portato a proteste di strada e, infine, alla sconfitta del DPS nelle elezioni parlamentari dell’agosto 2020 conducendo, per la prima volta, l’opposizione il potere.
Pertanto è interessante il percorso che sta facendo il Montenegro ora, dopo essersi liberato del controllo di Djukanovic: in aprile 2023 ci sono state le elezioni presidenziali ed ha vinto Jakov Milatovic. Milatovic ha promesso di portare il Paese nell’Unione Europea il prima possibile. Il Movimento Europa Ora (PES) del Montenegro ha ottenuto il 25,5% dei voti nelle elezioni parlamentari lampo dell’11 giugno, mentre il DPS di Djukanovic, che ha governato il Montenegro tra il 1990 e il 2020, è arrivato secondo con il 23,8% dei consensi. Il programma di Milatovic promuove un’agenda europeista, improntata sul rispetto dello stato di diritto, e mira a una serie di riforme economiche, tra cui quella del sistema di tassazione, introducendo scaglioni progressivi, così come l’aumento del salario minimo.
Resta da vedere se Milatovic riuscirà davvero ad unire il Paese, a combattere l’influenza russa e ad avanzare nel processo dell’integrazione europea. La questione dell’identità montenegrina, legata anche e soprattutto alla Chiesa ortodossa, è intrinsecamente legata alla Serbia. Riuscirà il Montenegro a prendere le distanze da essa?
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