La Chiesa cattolica non ha alcuna personalità giuridica nel regno del Sultano
Il Papa in Turchia stringe la mano a Erdoğan, primo viaggio “per la Pace e il dialogo”
Leone ad Ankara ha incontrato e poi avuto un colloquio con il presidente turco. Rafforzate le misure di sicurezza. È la prima tappa della sua missione che poi toccherà il Libano fino a martedì 2 dicembre
Papa Leone XIV sbarca in Turchia per il suo primo viaggio all’estero da quando ha assunto il pontificato a maggio, visitando una regione instabile, quale Turchia e Libano per portare un messaggio di pace e dialogo, i pilastri del suo papato. Il pontefice 68enne è stato accolto giovedì all’aeroporto di Ankara da alti funzionari turchi per poi dirigersi al mausoleo di Ataturk, per l’omaggio che ogni capo di stato in visita ufficiale ha l’obbligo di riservare al padre della patria, e al complesso presidenziale per l’incontro con il leader del paese Tayyip Erdoğan.
La visita di quattro giorni in Turchia porterà il Papa anche a Istanbul e nella città nord-occidentale di Iznik, l’antica città di Nicea per partecipare alla commemorazione per il 1700° anniversario del Primo Concilio di Nicea, un appuntamento storico per celebrare i primi leader cristiani che concordarono le dottrine fondamentali della fede. La sua ultima tappa sarà sempre a Istanbul, dove è prevista la partecipazione a una preghiera ecumenica con il Patriarca Ecumenico Bartolomeo I, guida spirituale di circa 300 milioni di cristiani ortodossi in tutto il mondo. La Turchia non riconosce lo status ecumenico del Patriarca, sostenendo che egli ricopra solo il ruolo di capo della comunità greco-ortodossa turca, in linea con il Trattato di Losanna del 1923 che Ankara ha sempre interpretato in maniera molto restrittiva per soffocare le espressioni delle minoranze che secondo la dottrina kemalista della turchizzazione e sunnizzazione forzata erano costrette a celare la loro identità non turca e non sunnita. La Turchia sostiene che il riconoscimento dell’autorità ecumenica violerebbe la sua sovranità.
Il programma di Papa Leone include anche incontri interreligiosi con leader musulmani, incontri con i leader delle chiese locali e quel che resta delle comunità cristiane di Istanbul ridotta alle 70 mila unità rispetto alle 136.000 nel 1927, una comunità in costante calo se si pensa che nel XIX la sola città sul Bosforo era abitata per il 48,4% da cristiani e che in tutta l’anatolia rappresentavano il 16,6% dell’intera popolazione, comunità ora ridotta all’0,1% e i cattolici sono circa 50 mila. Poi sarà la volta del Libano, un paese dalla permanente instabilità con una popolazione di circa 6 milioni di persone, di cui oltre 1 milione sono rifugiati. «L’amato e sofferente Libano resta al centro delle nostre preghiere», ha detto il Papa nel quinto anniversario dell’esplosione del porto di Beirut del 2020 in Libano, che causò lo sfollamento di oltre 300.000 persone.
La Chiesa cattolica maronita conta 3,5 milioni di fedeli ed è il paese del Medio Oriente, assieme alla Turchia, in cui più di ogni altro si avverte la necessità di una incessante opera di integrazione, dialogo e fratellanza. In un post sui social media prima del suo tour di mercoledì, Papa Leone ha affermato che il viaggio gli permetterà anche di incontrare cattolici, cristiani e altre comunità religiose. “Fratelli e sorelle cristiani, e membri di altre religioni. Vi chiedo di accompagnarmi con le vostre preghiere”, ha scritto su X. Il programma ufficiale di Papa Leone non include una visita a Santa Sofia, a differenza di quello dei suoi predecessori. Visiterà invece la Moschea Blu. Per Ankara, la visita rappresenterà sia un’opportunità che un rischio. Aiuterà sì la Turchia a proiettare un’immagine di tolleranza religiosa e a mettere in luce posizioni condivise con il Vaticano su questioni come Gaza, ma allo stesso tempo, il governo turco dovrà gestire con attenzione le tensioni di lunga data relative alla persistente chiusura del Seminario di Halki e allo status ecumenico del Patriarcato greco, che continuano a suscitare l’insofferenza internazionale.
L’amministrazione statunitense pone sempre più enfasi sull’identità e sul simbolismo cristiano, sia nella politica interna che in quella estera, i momenti di grande visibilità del papa in Turchia avranno dunque un peso diplomatico notevole. Un’immagine positiva del Papa in un Paese a maggioranza musulmana potrebbe rafforzare i legami tra Ankara e Washington. Anche le questioni religiose, infatti, sono state oggetto dei colloqui nell’incontro tra Erdogan e Trump alla Casa Bianca il 25 settembre scorso, quando il presidente Usa ha sottolineato che la Chiesa greco-ortodossa gli aveva chiesto aiuto per riaprire il Seminario di Halki a Heybeliada, chiuso dal 1971. Dopo quell’incontro, Ankara ha avviato colloqui con la Chiesa greco-ortodossa per la riapertura della scuola.
Prima di lasciare la Turchia per il Libano, il Papa celebrerà una Santa Messa a Istanbul, che dovrebbe richiamare migliaia di cristiani e rafforzare l’immagine della Turchia in materia di libertà religiosa, un punto questo spesso criticato dall’Unione europea. La Turchia ancora oggi considera minoranze non musulmane soltanto le comunità armene, bulgare, greco-ortodosse ed ebraiche. Le comunità cristiane arabofone, quelle siro-ortodosse, caldee e cattoliche latine non sono state riconosciute. In più, nonostante lo Stato turco abbia concesso a quattro comunità lo status di “confessione ammessa”, non ha proceduto al riconoscimento giuridico di nessuna minoranza religiosa. Alle comunità religiose non musulmane, quindi, non è permesso possedere beni né acquistarli. I fedeli non possono costruire chiese o aprire seminari (possono solo mantenere quelli già esistenti alla data della firma del Trattato di Losanna del 1923). Molti beni delle chiese non riconosciute sono stati confiscati e nazionalizzati. Inoltre, i cristiani furono costretti a lavorare di domenica; gli studenti cristiani dovettero frequentare le scuole turche; i matrimoni non poterono più essere celebrati con solennità; fu proibito ai parroci di suonare le campane; i capi religiosi cessarono di rappresentare le proprie comunità.
La Chiesa cattolica non ha alcuna personalità giuridica. Lo Stato riconosce ufficialmente solo tre minoranze: i cristiani ortodossi apostolici armeni, i cristiani ortodossi greci e gli ebrei. Spesso le attività si svolgono attraverso privati, perché la Chiesa non ha una propria personalità giuridica. Così, per esempio, non dispone di conti bancari propri. Le operazioni bancarie devono essere espletate attraverso privati, per esempio il vescovo. I sacerdoti stranieri spesso hanno difficoltà ad avere un permesso di soggiorno e sono dunque costretti a uscire dalla Turchia ogni tre mesi per rinnovare il visto turistico e ancora oggi la legge prevede che una chiesa non possa affacciarsi direttamente sulla pubblica via, per questo sono circondate da alti muri che ne occultano la vista.
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