Molti dei cambiamenti delle nostre città sono il frutto di processi non governati (si pensi al caso del turismo e dell’immigrazione di massa) o governati in modo asimmetrico (coinvolgendo solo gli investitori economici e i proprietari delle varie aree interessate). Generalmente parlando lo stato della legislazione nazionale, comprendendo per essa sia quella statale sia quella regionale, non contempla adeguatamente la partecipazione dei cittadini che non hanno un interesse economico diretto nei processi di trasformazione urbana. A dispetto di una sostanziale sottovalutazione del ruolo della cittadinanza, nelle politiche di trasformazione dei territori, i cittadini hanno spesso intrapreso percorsi spontanei di rigenerazione civica dei beni e degli spazi urbani.

Talvolta queste reazioni hanno assunto forme di resistenza politica proprio contro le politiche che li escludeva, in altre circostanze, invece, sono apparse come forme di riappropriazione della città nel tentativo di costruire una città a dimensione comunitaria con risultati significativi. Anche quando queste azioni sono avvenute al di fuori di percorsi legittimati dal principio, hanno guadagnato un valore sociale tale che ha permesso loro di essere considerate pienamente legittime. Così parchi, aree verdi, piazze, vie, aree agricole prossime alle città, immobili abbandonati, luoghi di cultura, scuole sono stati oggetto di iniziative che hanno permesso alle comunità di riferimento di restituire spazi e beni alla comunità, generando perfino piccole economie locali. Sebbene si tratti di iniziative spontanee, il loro rilievo non è per niente trascurabile. Presentano, infatti, quattro vantaggi incomparabili.

Innanzitutto, sanno garantire la rigenerazione nelle cosiddette aree a contrazione, quelle, cioè, che non sono sufficientemente attrattive per il capitale privato e che, proprio per questo, sono attraversate da spopolamento e desertificazione. Altrettanto si verifica nei quartieri delle città medie e grandi che si impoveriscono in termini di diversità nella composizione sociale degli abitanti. In secondo luogo, in molte occasioni appaiono l’unica risposta possibile alla soluzione di gravi e complessi problemi sociali. Si pensi all’ipotesi di recupero di aree e immobili abbandonati e in disuso nei quali, tuttavia, cittadini, gruppi sociali, associazioni o enti del terzo settore garantiscono servizi culturali, sociali o ambientali attraverso azioni che non possiedono dall’inizio una legittimazione preventiva. Ripristinare la mera legalità non solo significherebbe porre fine a esperienze importanti riconosciute, ma affrontare nuovi problemi sociali che i comuni non sono in grado di sostenere.

Il terzo vantaggio è che queste iniziative, talvolta, rivitalizzano spazi ed edifici pubblici attivi ma sottoutilizzati al fine di soddisfare una domanda sociale che cambia e che le amministrazioni non sono in grado da sole di intercettare. Il quarto vantaggio è che il coinvolgimento diretto dei cittadini, nelle varie forme in cui si presentano, li responsabilizza rispetto al territorio e permette loro di sviluppare un’attenzione e una cura che rende più solido il cambiamento. Tutto questo non fa venir meno la necessità di adeguare gli strumenti di governo del territorio affinché questi processi di rigenerazione civica integrino le politiche pubbliche di trasformazione urbana. Un recente studio del 2023 del Dipartimento per le politiche di coesione, Spazi di comunità, ha messo in rilievo quali sono le condizioni che rendono possibile il consolidamento di queste pratiche. Considerarle significa, da un lato, apprendere nuove tecniche di governo e utilizzarle dove fin qui i comuni sono rimasti inerti e, dall’altra, rendere più eque e sostenibili le politiche guidate dagli interessi privati per costruire e salvaguardare l’accesso alla città pubblica.

Fabio Giglioni

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