Il traffico sulla droga dello stupro
Inchiesta su droga dello stupro, a Roma spunta un senatore: “È solo marketing giudiziario”
Il senatore senza volto. La recente indagine della Procura di Roma sul traffico di ghb, la cosiddetta droga dello stupro, si tinge di giallo. L’inchiesta, condotta dal Nucleo antisofisticazioni e sanità (Nas) dei carabinieri, ha portato questa settimana all’arresto di una quarantina di persone, fra le quali la sorella di Ornella Muti. L’attenzione dei media, però, si concentrata su un “senatore” che figurerebbe tra i principali clienti di Clarissa Capone, la trentenne romana che, secondo l’accusa, avrebbe gestito in prima persona lo spaccio dello stupefacente. Tutto nasce da una intercettazione telefonica del 17 ottobre del 2019 fra Capone e un amico. I due parlano di un “senatore” che abita a Roma sul “lungotevere”, un “politico”. «Io sto andando dal politico, quello lì che abita davanti alla Corte di Cassazione», si sente dire in un’altra conversazione fra i due.
Nelle successive intercettazioni, però, il “senatore” sparisce dai radar. I carabinieri nell’informativa riepilogativa scrivono che in questi anni non è stato possibile identificare il “politico”. E lo stesso giudice dell’indagini preliminari, Roberto Saulino, nell’ordinanza di custodia cautelare scrive che si tratta “verosimilmente” di un senatore della Repubblica. Pur non avendo un volto e un nome, il “senatore” è diventato il fulcro dell’inchiesta. Repubblica in un articolo arriva a scrivere che l’incriminazione di un politico è un problema per lo svolgimento delle indagini, con il rischio di uno stop da parte della giunta per le autorizzazioni a procedere delle Camere, un modo per giustificare la mancata identificazione. Il “senatore” è in buona compagnia: i giornali scrivono che ci sarebbero «appartenenti alle forze dell’ordine, sacerdoti, conduttori radiofonici, politici», tutti non identificati. La circostanza ha sollevato più di un dubbio. I maligni in queste ore hanno ipotizzato, infatti, che il senatore sia virtuale. Come è possibile che dal mese di ottobre del 2019 ad oggi il principale cliente della banda di spacciatori, almeno per importanza, non sia stato identificato? O si vuole coprirlo, oppure, è il sospetto che sta prendendo piede, il “senatore” semplicemente non esiste.
La presenza di quest’uomo senza volto è riuscita comunque a monopolizzare da giorni le prime pagine dei giornali. Si tratterebbe di “marketing” giudiziario, come dice Enrico Costa, deputato di Azione che si è battuto per recepire la direttiva Ue sulla presunzione d’innocenza, mettendo un freno alle conferenza stampa da parte degli inquirenti. «Molte inchieste vengono rappresentate come fossero dei film. C’è un titolo, un trailer, una conferenza stampa nella quale si proiettano gli arresti, le perquisizioni, i pedinamenti, le intercettazioni anche vocali. Infine, c’è il botteghino di questo capolavoro che è la rete. Eppure si tratta un film in cui parla solo la campana dell’accusa, la difesa non viene citata nemmeno nei titoli di coda», ricorda Costa. Il deputato cita il caso di una forza di polizia che è solita chiedere alle proprie articolazioni territoriali di «sfornare comunicati stampa periodici, per dimostrare l’incessante lavoro: pazienza se non c’è niente da comunicare, l’importante è comunicarlo bene».
«Il marketing giudiziario – prosegue Costa – è quanto di più pericoloso, incivile, illiberale, arbitrario. Soprattutto perché è studiato per far conoscere e apprezzare un prodotto parziale, non verificato, non definitivo: l’accusa».
«Un prodotto – per quanto modificabile e smentibile – presentato all’opinione pubblica come oro colato. Una forma di condizionamento dell’opinione pubblica, ma anche del giudice, raggiunto da una gragnuola di frammenti di informazione proveniente solo da una parte», prosegue il parlamentare, ricordando come «i media, sempre pronti a evocare il rischio bavaglio a chi invoca la presunzione d’innocenza, assorbono e trasmettono acriticamente: un’inchiesta viene battezzata con un nome a effetto? Tutti a riportare alla lettera. Senza domandarsi chi ha scelto quel nome, perché lo ha scelto, se ne aveva titolo».
E poi: «Con quale spirito critico molti giornalisti seguono le indagini e assorbono le informazioni trasmesse dagli inquirenti? L’interesse immediato non è quello di approfondire, ma di pubblicare al più presto. Nome dell’inchiesta prima di tutto. E a seguire l’impostazione accusatoria, visto che in quella fase la difesa ancora non è pervenuta».
«La vera sentenza per molti giornalisti è la conferenza stampa della Procura, perché la sentenza vera, quella pronunciata dopo il processo, non interessa più a nessuno», conclude Costa. Non è, allora, che il “senatore” senza volto della Procura di Roma sia un altro di questi casi?
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