Secondo una dettagliata inchiesta giornalistica comparsa oggi sul sito Politico.eu, punto di riferimento per le istituzioni con sede a Bruxelles,  la Cina, nonostante le ripetute affermazioni sulla volontà di pace da parte di Pechino, sta fornendo molto equipaggiamento militare alla Russia: stiamo parlando non tanto di armi, la cui esportazione in Russia esporrebbe la Cina a pesanti sanzioni, ma di attrezzature non letali, comunque utili a livello militare ed alla campagna del presidente Vladimir Putin in Ucraina. L’equipaggiamento protettivo fornito dalla Cina sarebbe sufficiente per equipaggiare molti dei soldati mobilitati dalla Russia con l’invasione. Inoltre, sempre nell’inchiesta viene segnalato l’export di droni utilizzati per dirigere il fuoco dell’artiglieria o sganciare granate e visori termici per individuare il nemico durante la notte.

Queste spedizioni indicano una falla nei tentativi dell’Occidente di ostacolare la macchina da guerra di Putin attraverso il sistema di sanzioni per chi esporta armi. La vendita della cosiddetta tecnologia “dual use”, a duplice uso, così chiamata perché può essere utilizzata sia in ambito civile che militare (come lo è un giubbotto protettivo, un casco o un drone), lascia al momento inermi le autorità occidentali di fronte ad un’enorme potenza economica come Pechino.

L’articolo di Politico.eu cita diverse aziende cinesi coinvolte in queste forniture, compresa Shanghai H Win, una produttrice di attrezzature protettive per scopi militari, che ha ricevuto ordini per centinaia di migliaia di giubbotti antiproiettile e caschi dalla Russia. Altre aziende menzionate includono Deekon Shanghai, Beijing KRNatural e la notissima azienda cinese DJI, con punti di vendita anche in Italia, che avrebbe fornito droni utilizzabili – non certo come armi – nella guerra ucraina.

L’articolo sottolinea anche che gran parte degli acquirenti russi sembrano essere aziende estremamente volatili, aperte e subito chiuse dopo qualche giorno, con sede legale in indirizzi spesso irrealistici e con bilanci non certo in grado di arrivare ai fatturati necessari per acquisti così ingenti, il che fa supporre triangolazioni con i veri acquirenti.

Le esportazioni cinesi di prodotti “dual-use” in Russia durante la guerra sono confermate dai dati doganali. Sebbene l’Ucraina sia anch’essa cliente della Cina, le sue importazioni della maggior parte delle attrezzature menzionate nell’articolo sono diminuite notevolmente.

Il problema principale che l’inchiesta di Politico.eu solleva è l’ambiguità riguardante lo status “dual-use” di questa attrezzatura, che sembra costituire una vulnerabilità non da poco nel sistema delle sanzioni occidentali. Al momento, sembra che i paesi occidentali abbiano le armi assai spuntate per contrastare questo fenomeno, poiché è difficile dimostrare chiaramente la destinazione militare di questi prodotti e conseguentemente è impossibile imporre divieti alla Cina in questo tipo di transazioni. Solo gli Stati Uniti avrebbero, sempre secondo Politico.eu, il potere di imporre un divieto assoluto su queste transazioni, dal momento che vengono quasi sempre effettuate in dollari, ma l’Unione Europa non ha la possibilità altrettanto forte di imporre sanzioni.

L’Unione Europea ha compilato un elenco di sette aziende cinesi che non dovrebbero essere autorizzate a commerciare con i paesi del Vecchio Continente, ma dopo alcune pressioni da parte di Pechino, quattro aziende sono state rimosse da questa lista nera.

Un allarme in tal senso era stato lanciato nei giorni scorsi da Emmanuel Bonne, consigliere del presidente francese Emmanuel Macron, parlando con la Cnn all’Aspen Security Forum: ““Sì, ci sono indicazioni che stanno facendo cose che preferiremmo non facessero“. Poi, alla domanda più precisa se la Cina stia consegnando armi, Bonne ha detto: “Beh, equipaggiamento militare… per quanto ne sappiamo sta fornendo massicce capacità militari alla Russia”

Politico.eu giustamente pone il problema di prestare attenzione alla necessità di responsabilizzare i produttori di questi prodotti riguardo alla destinazione finale dei loro prodotti, simile al modo in cui le banche sono state costrette dai regolatori ad intensificare il controllo sui propri clienti e possibili operazioni contro il riciclaggio di denaro dopo la crisi finanziaria del 2008.

Redazione

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