Qua e là si parla della necessità di dar vita al più presto ad un’alternativa politica e programmatica rispetto al centro destra di governo. Obiettivo giusto e legittimo, come ovvio e persino scontato. Ma, al di là di creare un’alternativa, si tratta di capire il profilo politico, culturale, valoriale e soprattutto programmatico di questa potenziale alternativa. Perchè ad oggi, come emerge in modo persin plateale dalla formazione delle coalizioni del “campo largo” nelle varie regioni, l’alternativa nella migliore delle ipotesi è un banale e grigio pallottoliere e, nella peggiore, un accrocchio basato sulla riproposizione del sempre verde ‘antifascismo’.

Ora, come tutti ben ricordiamo, il tradizionale centro sinistra – soprattutto l’alleanza di centro sinistra di governo – era sì il frutto di una precisa opzione politica e culturale ma era, e soprattutto, un programma di governo che non aveva come obiettivo esclusivo quello di annientare definitivamente il nemico politico attraverso la delegittimazione morale prima e la sua sistematica distruzione poi. Compreso cavalcare qualsiasi inchiesta giudiziaria appena se ne presenta l’occasione. Forse ha ragione Luca Ricolfi quando ricorda che non c’è, da ormai tre anni, alcuno spostamento elettorale significativo in merito ai due schieramenti principali perchè, molto semplicemente, non c’è alcuna ragione per cambiare il proprio orientamento politico. E questo perchè da un lato, sostiene sempre il sociologo torinese, circa metà degli italiani si rifugia nell’astensionismo mentre l’altra metà si sente rassicurata dalla opzione politica fatta nel settembre del 2022. E, per quanto riguarda lo schieramento del “campo largo”, aggiunge sempre Ricolfi, non c’è alcun motivo particolare che porta l’elettore di quella potenziale alleanza ad individuare un’idea forza che sia in grado di smuovere le acque dopo 3 anni di governo del centro destra. Che, tra l’altro, registra un singolare aumento del partito della Premier dopo questi anni di governo.

Ecco perchè, al di là delle chiacchiere, della propaganda e delle faraoniche parole d’ordine sulla dittatura imminente, sul regime illiberale, sulla compressione delle libertà democratiche, sull’azzeramento del pluralismo delle opinioni e simili amenità, quello che non si può non evidenziare è che non basta la logica del pallottoliere per ridare credibilità alla politica, efficacia alla ricetta programmatica e, soprattutto, serietà ed autorevolezza a chi invoca una vera e propria alternativa di governo. L’essere “testardamente unitari”, piaccia o non piaccia, risponde alla sola logica del pallottoliere o dell’ammucchiata numerica. Non ha nulla a che vedere né con la progettualità politica e né, tantomeno, con qualsiasi programma di governo. Non è un caso, del resto, che su qualsiasi punto qualificante l’agenda di governo si registra quasi sempre una strutturale diversità all’interno del “campo largo”. Ragione che spiega in modo esemplare che una simile coalizione regge sin quando è accomunata dall’odio implacabile nei confronti del nemico giurato ma stenta a qualificarsi quando si deve tradurre un in credibile progetto di governo.

Questa è la semplice, ma decisiva, distinzione tra il tradizionale e storico centro sinistra di governo e l’attuale ed indistinto “campo largo”. Ma nella politica, anche in un contesto dove i partiti sono banali cartelli elettorali, le culture politiche pallidi ricordi del passato e le classi dirigenti eserciti fedeli e compiacenti del capo partito, prima o poi i nodi vengono al pettine. E se le coalizioni sono grigi pallottolieri e non alleanze di governo che entusiasmano e appassionano, gli stessi esiti elettorali non cambiano nel tempo. Anche se nel frattempo il frastuono propagandistico aumenta di volume e di intensità.